VERA RUBIN: una grande
donna della scienza
Studiò le galassie, confermando l’esistenza della materia
“oscura”
Ivan Spelti (9/1/2017)
Il giorno di Natale 2016 è morta
l’astronoma statunitense Vera Rubin, a 88 anni. Il suo nome è stato legato agli
studi sulle galassie e in particolare alla conferma dell’esistenza della
cosiddetta materia oscura di cui parleremo e che costituisce quasi il 27% della
composizione dell’universo, contro il misero 5% della materia visibile che conosciamo (atomi e particelle).
Ancora una volta dobbiamo
rivelare, subito, come il ruolo delle grandi donne nella scienza sia rimasto
sempre oscurato rispetto a quello dei loro più celebri colleghi uomini. Due
esempi, per le grandi donne dell’astronomia. Caroline Hershel, nel ‘700,
sorella del più celebre William insieme al quale scoprì nel 1781 il pianeta
Urano. Henrietta Leavitt, grande cacciatrice delle stelle variabili cefeidi,
che consentirono le prime valide determinazioni di distanze intergalattiche, e
che fu relegata al ruolo di scrivana
astronomica a causa della sua disabilità (era completamente sorda).
Il percorso personale di Vera,
accademico e affettivo, fu fortunatamente diverso. Tuttavia, il suo lavoro
sistematico, i risultati e il loro accoglimento nella comunità scientifica, fu
dapprima ignorato, poi contrastato e solo molto tardi apprezzato e condiviso
negli anni ’70 del secolo scorso.
Vera Cooper era nata il 23 luglio
1928 a Filadelfia, in una famiglia di immigrati ebrei: il padre era un
ingegnere elettrico di Vilnius che l’aiutò a costruirsi il primo telescopio. La
madre le diceva:”Vera non stare tutta la
notte con la testa fuori dalla finestra a guardare le stelle”.
Studiò astronomia a Princeton. Al
1951 risalgono le prime osservazioni sull’anomalia della rotazione delle stelle
nelle galassie, ma sia in tesi che in dottorato i suoi risultati furono accolti
con scetticismo e critiche nonostante le evidenze sperimentali. Si profilò
dunque un percorso in salita che, se da un lato non la scoraggiò (tanto che nel
1965 ottenne la cattedra di astronomia a Washington e la disponibilità
dell’Osservatorio di Monte Palomar in California), arriverà fino al 1974, anno
in cui Vera vedrà riconosciuto il suo lavoro dagli astronomi mondiali.
Su quale argomento verteva il
contrasto? Nientemeno che sulla validità delle leggi di Newton della fisica!
Se infatti si va a considerare
come ruotano le stelle nelle galassie, la fisica classica ci dice che,
immaginando le stelle come girandole intorno al centro galattico (dov’è
concentrata la gran parte della massa), la loro velocità dovrebbe essere
maggiore vicino al centro e minore verso le zone periferiche. Come succede con
i pianeti intorno al Sole: più sono vicini (esempio, Mercurio) più ruotano
velocemente, più sono lontani e più ruotano lentamente. Problema chiaro già al
tempo di Keplero ed incorporato cento anni dopo da Newton nelle leggi generali
della dinamica, di cui l’universo era già in quel tempo considerato un’attrezzata
palestra.
Invece no. Vera, studiando i moti
di un gran numero di stelle a diversa distanza dal centro di molte galassie
(sia della nostra che di Andromeda e tante altre), continuava a trovare dati
sperimentali di velocità stellari che erano pressochè uguali, sia che le stelle
fossero vicine al centro galattico sia che fossero più lontane. Possiamo vedere
questi dati in un celebre grafico: la linea tratteggiata (A) ci dice come le
cose dovrebbero andare in teoria, quella continua (B, quasi orizzontale) come
invece vanno in realtà. Le stelle ruotano con una velocità quasi uguale,
sfidando le consolidate leggi classiche.
E subito la gente disse “non è
possibile”, “ci dev’essere un errore”. Gli altri astronomi non accettarono.
I dati di Vera si comprendevano
invece benissimo se si fosse ipotizzato che le galassie, anziché essere formate
dalle sole masse delle stelle conosciute (fra l’altro mediamente distanti
anni-luce tra loro e quindi in definitiva dandoci un’idea di sostanziale “vuoto
intergalattico”), contenessero dell’altra materia non visibile, “oscura” e non ancora rilevabile con i nostri mezzi
d’indagine (telescopi e radiotelescopi).
Allora si, che le cose
tornerebbero e tutto riceverebbe adeguata spiegazione: anche le anomalie nelle
curve di rotazione viste. Cosa costituisca questa strana materia oscura non lo
sappiamo bene, lo stiamo ancora cercando: sappiamo solo che c’è.
Come accade spesso, si trattò di
un enorme lavoro che recepiva un’idea precedente del 1933 dell’astrofisico
Fritz Zwicky su alcuni studi galattici: il merito di Vera fu di estendere
l’esistenza della materia oscura a tutte le galassie dell’universo. Tutte le
galassie sono formate da materia visibile (stelle e altro) e soprattutto da una
ben superiore quantità di materia oscura che le permea e le avvolge: materia
che si rivela solo per gli effetti gravitazionali che produce, ma non emette
radiazione elettromagnetica. Oggi conosciamo alcune galassie nane formate al
99% di materia oscura.
Questa materia “oscura” è
addirittura più di 5 volte superiore a tutta quella che vediamo in chiaro e
costituisce tutto il nostro mondo. Uno studente di scuola superiore sa che, a
grandi linee, conosciamo il 5% della materia che costituisce l’universo, che il
27% è materia in forma “oscura” e che il 68% è “energia oscura”: sono i dati che
quantificano l’entità della nostra fondamentale ignoranza sull’universo nel suo
complesso.
Si era sposata con Robert Rubin,
dottorando alla Cornell, e nel
1950 presentò la tesi di diploma in astronomia con in braccio il suo primo
bambino. Il marito lavorava già, stavano pensando al secondo figlio e lei
piangeva quando arrivava per posta l’Astrophysical Journal a ricordarle che
forse non sarebbe mai potuta diventare astronoma, dal momento che la sua vita era così complicata. Una telefonata del grande
George Gamow, cosmologo eclettico e famoso nonché spesso alticcio, che si
informava sulla sua tesi le cambiò la vita. Ritornò alla ricerca astronomica, in
un difficile equilibrio con l’essere madre.
Un episodio ricordato da Richard
Panek nel libro “L’Universo oscuro” è toccante e rappresenta passione, volontà
e determinazione di Vera, nonché il grande tribolare di sempre delle donne nel
loro lavoro. Durante l’attività osservativa e gli studi notturni, deponeva i
figli piccoli a dormire nei cassetti della scrivania.
Il mantra che ci ha lasciato Vera
è che nell’universo tutto ruota e si espande, facendo nel frattempo ogni altra
cosa (esplosioni, trasformazioni, associazioni e dissociazioni).
Vera Rubin ottenne molto tardi
diversi riconoscimenti in medaglie:
Royal Society (1996), Dickson Prize(1993), James Craig (2004) e altre.
Non ebbe mai il Nobel.
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