venerdì 14 settembre 2018

VERA RUBIN e la materia oscura


VERA RUBIN: una grande donna della scienza

Studiò le galassie, confermando l’esistenza della materia “oscura”

Ivan Spelti (9/1/2017)

 

Il giorno di Natale 2016 è morta l’astronoma statunitense Vera Rubin, a 88 anni. Il suo nome è stato legato agli studi sulle galassie e in particolare alla conferma dell’esistenza della cosiddetta materia oscura di cui parleremo e che costituisce quasi il 27% della composizione dell’universo, contro il misero 5% della materia visibile che  conosciamo (atomi e particelle).

Ancora una volta dobbiamo rivelare, subito, come il ruolo delle grandi donne nella scienza sia rimasto sempre oscurato rispetto a quello dei loro più celebri colleghi uomini. Due esempi, per le grandi donne dell’astronomia. Caroline Hershel, nel ‘700, sorella del più celebre William insieme al quale scoprì nel 1781 il pianeta Urano. Henrietta Leavitt, grande cacciatrice delle stelle variabili cefeidi, che consentirono le prime valide determinazioni di distanze intergalattiche, e che fu relegata al ruolo di  scrivana astronomica a causa della sua disabilità (era completamente sorda).

Il percorso personale di Vera, accademico e affettivo, fu fortunatamente diverso. Tuttavia, il suo lavoro sistematico, i risultati e il loro accoglimento nella comunità scientifica, fu dapprima ignorato, poi contrastato e solo molto tardi apprezzato e condiviso negli anni ’70 del secolo scorso.
 
 

Vera Cooper era nata il 23 luglio 1928 a Filadelfia, in una famiglia di immigrati ebrei: il padre era un ingegnere elettrico di Vilnius che l’aiutò a costruirsi il primo telescopio. La madre le diceva:”Vera non stare tutta la notte con la testa fuori dalla finestra a guardare le stelle”.

Studiò astronomia a Princeton. Al 1951 risalgono le prime osservazioni sull’anomalia della rotazione delle stelle nelle galassie, ma sia in tesi che in dottorato i suoi risultati furono accolti con scetticismo e critiche nonostante le evidenze sperimentali. Si profilò dunque un percorso in salita che, se da un lato non la scoraggiò (tanto che nel 1965 ottenne la cattedra di astronomia a Washington e la disponibilità dell’Osservatorio di Monte Palomar in California), arriverà fino al 1974, anno in cui Vera vedrà riconosciuto il suo lavoro dagli astronomi mondiali.

Su quale argomento verteva il contrasto? Nientemeno che sulla validità delle leggi di Newton della fisica!

Se infatti si va a considerare come ruotano le stelle nelle galassie, la fisica classica ci dice che, immaginando le stelle come girandole intorno al centro galattico (dov’è concentrata la gran parte della massa), la loro velocità dovrebbe essere maggiore vicino al centro e minore verso le zone periferiche. Come succede con i pianeti intorno al Sole: più sono vicini (esempio, Mercurio) più ruotano velocemente, più sono lontani e più ruotano lentamente. Problema chiaro già al tempo di Keplero ed incorporato cento anni dopo da Newton nelle leggi generali della dinamica, di cui l’universo era  già in quel tempo considerato un’attrezzata palestra.
 
 

Invece no. Vera, studiando i moti di un gran numero di stelle a diversa distanza dal centro di molte galassie (sia della nostra che di Andromeda e tante altre), continuava a trovare dati sperimentali di velocità stellari che erano pressochè uguali, sia che le stelle fossero vicine al centro galattico sia che fossero più lontane. Possiamo vedere questi dati in un celebre grafico: la linea tratteggiata (A) ci dice come le cose dovrebbero andare in teoria, quella continua (B, quasi orizzontale) come invece vanno in realtà. Le stelle ruotano con una velocità quasi uguale, sfidando le consolidate leggi classiche.
E subito la gente disse “non è possibile”, “ci dev’essere un errore”. Gli altri astronomi non accettarono.

I dati di Vera si comprendevano invece benissimo se si fosse ipotizzato che le galassie, anziché essere formate dalle sole masse delle stelle conosciute (fra l’altro mediamente distanti anni-luce tra loro e quindi in definitiva dandoci un’idea di sostanziale “vuoto intergalattico”), contenessero dell’altra materia non visibile, “oscura” e  non ancora rilevabile con i nostri mezzi d’indagine (telescopi e radiotelescopi).

Allora si, che le cose tornerebbero e tutto riceverebbe adeguata spiegazione: anche le anomalie nelle curve di rotazione viste. Cosa costituisca questa strana materia oscura non lo sappiamo bene, lo stiamo ancora cercando: sappiamo solo che c’è.

Come accade spesso, si trattò di un enorme lavoro che recepiva un’idea precedente del 1933 dell’astrofisico Fritz Zwicky su alcuni studi galattici: il merito di Vera fu di estendere l’esistenza della materia oscura a tutte le galassie dell’universo. Tutte le galassie sono formate da materia visibile (stelle e altro) e soprattutto da una ben superiore quantità di materia oscura che le permea e le avvolge: materia che si rivela solo per gli effetti gravitazionali che produce, ma non emette radiazione elettromagnetica. Oggi conosciamo alcune galassie nane formate al 99% di materia oscura.

Questa materia “oscura” è addirittura più di 5 volte superiore a tutta quella che vediamo in chiaro e costituisce tutto il nostro mondo. Uno studente di scuola superiore sa che, a grandi linee, conosciamo il 5% della materia che costituisce l’universo, che il 27% è materia in forma “oscura” e che il 68% è “energia oscura”: sono i dati che quantificano l’entità della nostra fondamentale ignoranza sull’universo nel suo complesso.
 
                                                                              
Si era sposata con Robert  Rubin,  dottorando alla Cornell, e  nel 1950 presentò la tesi di diploma in astronomia con in braccio il suo primo bambino. Il marito lavorava già, stavano pensando al secondo figlio e lei piangeva quando arrivava per posta l’Astrophysical Journal a ricordarle che forse non sarebbe mai potuta diventare astronoma, dal momento che la sua vita  era così complicata. Una telefonata del grande George Gamow, cosmologo eclettico e famoso nonché spesso alticcio, che si informava sulla sua tesi le cambiò la vita. Ritornò alla ricerca astronomica, in un difficile equilibrio con l’essere madre.

Un episodio ricordato da Richard Panek nel libro “L’Universo oscuro” è toccante e rappresenta passione, volontà e determinazione di Vera, nonché il grande tribolare di sempre delle donne nel loro lavoro. Durante l’attività osservativa e gli studi notturni, deponeva i figli piccoli a dormire nei cassetti della scrivania.

Il mantra che ci ha lasciato Vera è che nell’universo tutto ruota e si espande, facendo nel frattempo ogni altra cosa (esplosioni, trasformazioni, associazioni e dissociazioni).

Vera Rubin ottenne molto tardi diversi riconoscimenti in medaglie:  Royal Society (1996), Dickson Prize(1993), James Craig (2004) e altre. Non ebbe mai il Nobel.
 
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