Penso che la musica mi
aiuterà perché è in me, in tutti noi e negli astri: ha radici antiche che nascono con Pitagora nel VI
secolo a.C., e continuano con Keplero nel ‘600, dopo avere attraversato
Medioevo e Rinascimento.
Seguitando le idee dei
pitagorici, l’uomo per istinto naturale sa usare la propria voce e osservare la
divina proporzione nell’armonia generale dei moti celesti: Saturno fa il basso
insieme a Giove, Marte è il tenore, Venere il contralto, Mercurio il soprano.

Johannes Kepler
(Keplero), riprendendo la MUSICA DELLE SFERE, ripropone la musica degli astri
(per lui sono i pianeti).
Si chiede: i pianeti
hanno un’anima? Le loro orbite sono in relazione con le note musicali?
Il miope Keplero non
avrebbe distinto una stella da una lucciola. La sua è un’epoca in cui convivono
magia, superstizione, religione, scienza, poteri occulti, astronomia ed
astrologia. Lui stesso si guadagnava da vivere facendo oroscopi.
Le sue leggi sui
pianeti riconciliano la visione emergente del sistema copernicano, svelato pochi decenni prima, con l’antico
concetto pitagorico di armonia universale. La diversa velocità dei pianeti
quando sono più vicini o più lontani dal Sole sono da Keplero espresse come
rapporti di intervalli musicali.
Gli astri si muovono
nel cielo seguendo sequenze di armonie organizzate, con una complessa geometria
rispondente a regole musicali: un’armonia polifonica in perenne mutamento, per
la quale i movimenti dei corpi celesti (pianeti, sole, luna) produrrebbero una
sorta di musica universale non udibile dall’orecchio umano, ma consistente in
concetti armonico-matematici: tutto l’universo viene immaginato come un enorme
sistema retto da proporzioni numeriche nei movimenti degli astri.
Questa MUSICA DEGLI
ASTRI approda in tempi più recenti alla musica classica in genere e a quella moderno-contemporanea
con un variegato uso di tecniche strumentali ( percussioni, piatti, fiati, corde,…).
Mi colpiscono due idee
e due storie più moderne.
1) Cento anni fa un giovane, dal passato scolastico un po’ burrascoso,
impiegato in un lavoro con poche prospettive e dopo aver pensato di suonare il
violino per strada per fare qualche marco, se ne esce con l’idea che
nell’universo lo spazio e il tempo sono un tutt’uno e che i corpi celesti sono
intimamente legati a questo tessuto spazio-temporale, ossia, si parlano: la
materia dice allo spazio come curvarsi e lo spazio dice alla materia come
muoversi. Siamo immersi in un gigantesco mollusco che si flette, ondeggia,
si torce. Avete capito che sto parlando di Albert Einstein.
2) Seconda storia. Pochi decenni fa abbiamo scoperto il vagito
dell’universo, la testimonianza di cosa gli è
successo quando aveva solo 380.000 anni di vita e dovevano ancora
formarsi quelle galassie che vediamo oggi.
Una radiazione del
fondo cosmico, mentre la temperatura di
quella cosa che chiamiamo universo iniziale, era diminuita dai miliardi di
miliardi di miliardi di miliardi di gradi a soli 3.000 gradi e che oggi
troviamo talmente stanca, dopo un viaggio durato 14 miliardi di anni, che ci
appare freddissima: una temperatura di soli 3 gradi superiore a quella dello zero assoluto.
Lo scienziato ha
convertito quella luce primordiale, quella radiazione, in suono. Per la nostra
migliore comprensione, perché il suono lo percepiamo meglio e a noi umani apre
più ampie sintonie della luce. Il suono
diventa musica.
Un’operazione
complessa, computerizzata.
Si sa che il suono è il
risultato di una propagazione di onde acustiche nell’aria o comunque in un
mezzo fisico che abbia una certa densità.
Tutti sapete che nello
spazio vuoto le onde sonore non possono propagarsi. Di norma, infatti,
nell’universo è così. Tuttavia, vi sono eccezioni e comunque noi umani abbiamo assolutamente
bisogno di adattare quei fenomeni misteriosi di luce a umane comprensioni e stimoli cerebrali tutti
nostri.
Come posso “ascoltare”,
nel senso umano del termine, gli eventi di luce del cosmo?
In ogni caso, le sonorità
musicali che potete ascoltate nel web (attenti però alle taroccature) sono in
genere delle “trascrizioni elettroniche” di eventi basati sul fatto che
ogni massa dell’universo (pianeta, satellite, il sole, ecc…) emette radiazioni
elettromagnetiche che vengono captate dalle sonde spaziali e opportunamente
convertite in suono per la nostra comprensione generale.
Le rotazioni dei corpi,
le cariche elettriche associate (molti di loro hanno masse metalliche centrali
che ruotano), i campi magnetici, gli sbuffi di plasma (come nel Sole), ecc….
sono registrati come segnali elettromagnetici e convertiti in suoni.
Movimenti di rotazione/rivoluzione
e le caratteristiche dei vari pianeti generano campi elettromagnetici, che a
loro volta generano onde radio, diverse da pianeta a pianeta, in generale da
astro ad astro. Ed è questo che riusciamo a captare e rendere come sonorità: se
è ben vero che nel vuoto il suono non si propaga è altresì vero che le onde
elettromagnetiche possono liberamente farlo. Quello che facciamo è captare
campi e onde elettromagnetiche e quindi convertirli in suoni.
Esempio. Il suono della
Terra nel suo movimento intorno al Sole è un DO DIESIS, ma è talmente basso che
non potremmo udirlo: è posto 29 ottave più in basso del DO centrale (a circa
4,7 metri a sx dello sgabello del pianoforte). Venere è un LA, Marte un RE a
meno 30 ottave, Giove un FA DIESIS a meno 33 ottave, e così via. Il suono
dell’intero sistema solare va accelerato di 68 miliardi di volte (pari a 36
ottave) per essere udito dal nostro orecchio.
Come posso giovarmi di
queste scoperte?
La moderna astrofisica,
nata nell’800 e oggi sempre più in sviluppo, si occupa di stelle che nascono, esplodono,
muoiono, di pianeti in moto risonante con i loro satelliti, buchi neri, echi
del Big-Bang, onde gravitazionali nascenti dalla cannibalizzazione di buchi
neri.
La proposta di un loro
legame deve muovere quindi da una presentazione sinestetica delle armonie
suggerite dalle conoscenze del cosmo, ricordandone e superandone le radici
pitagoriche e la visionarietà mistica kepleriana in favore di nuovi e
moderni collanti estetico-scientifici.
Infatti, sarebbe
interessante, ma banale, associare semplicemente, come a volte si fa, oggetti
celesti a traduzioni musicali con pezzi noti di vari compositori.
Intendo dire che è
forse riduttivo associare ad esempio un notturno di Chopin ad una diapositiva
con l’immagine della amorosa Luna, oppure la frenesia delle percussioni alla diapositiva
di una stella pulsante morente.
Diverso è interpretare
come l’universo suggerisca cose nuove e composizioni originali, dove i grandiosi
fenomeni coinvolti e la relatività
spazio-temporale segnano profondamente i nostri pensieri sino a indurci a
identificare i suoni come mezzo di espressione della complessità e della bellezza
a volte terrificante del cosmo.
Deve trattarsi di una
ricerca mirata, dove musicista e scienziato coniughino nuovi e meditati motivi
d’ispirazione sinestetica. La composizione di Holst (Suite “I pianeti”) del
1914 già si muove in questa linea, pur nel recupero dei miti e delle
attribuzioni mistiche ai pianeti
(Venere-portatrice di pace, Mercurio-messaggero alato, Marte-portatore di
guerra, Giove-portatore di gaiezza, Saturno-portatore di vecchiaia, Urano-il
mago, Nettuno-il mistico). Pianeti, come portatori di stati d’animo ed eventi,
come personificazioni di qualcosa di terrestre.
Così riusciremo a
viaggiare avanti e indietro nel tempo, alla ricerca delle verità dell’universo
(se ne esistono), lungo le geodetiche dello spazio-tempo che si allontanano in
ogni direzione, scintillanti come rotaie. Viaggeremo su un effimero raggio di
luce, passeremo accanto a mondi turbinosi e silenti, alle fornaci dove
l’idrogeno si tramuta in elio, vedremo le vertiginose pareti a imbuto dei buchi
neri, la luce abbacinante delle supernove, gli splendidi sciami delle comete,
il cosmico otto volante che segue la curvatura dell’universo.
Facciamo un esempio.
Ascoltiamo a diverse velocità la cosiddetta ECO DEL BIG BANG, che origina una
musica che ci ricorda sensazioni auricolari di un aereo prima in avvicinamento
e poi in allontanamento. Un buon tastierista potrebbe trafficare sulla sua
consolle ed avvicinarsi a riprodurre tali sensazioni.
Ma adesso le cose sono
diverse, perché stiamo ascoltando IL VAGITO DELL’UNIVERSO, il fenomeno reale di
quasi 14 miliardi di anni fa, da cui è partita la prima luce che poi ci ha
raggiunto oggi. Forza musicisti, datevi da fare!
Ecco quindi l’idea di
proporre suoni nuovi, composizioni originali, nelle quali compenetrarsi per far
parte anche noi dell’universo.
Qui mi devo fermare
perché fare musica con tutte queste idee in testa non è il mio mestiere, ma il
loro.






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