IL PRINCIPIO ANTROPICO
ESISTE UN RAPPORTO TRA GLI ESSERI UMANI E L’UNIVERSO ?
Affrontiamo un argomento
complesso, ma sicuramente stimolante.
Da tempo è sorto un acceso
dibattito scientifico-filosofico originato dal valore numerico delle cosiddette
“costanti della natura”, quei numeri
che troviamo quasi dappertutto nelle leggi della fisica: la velocità della luce
(c), la costante di gravitazione universale (G), la costante di Planck (h), il
rapporto fra la carica e la massa dell’elettrone (e/m), e altri. Collegato al tema, quello della validità universale
delle attuali leggi della natura.
Questi numeri, con le loro cifre
decimali e le loro potenze di dieci sembrano studiati apposta per consentire
l’esistenza di alcuni noti elementi chimici, che a loro volta hanno la
peculiarità di costruire le molecole organiche necessarie per la vita. Le
stesse stelle con la loro esistenza, energia, tempo medio di vita ed evoluzione
sembrano essere lì apposta per lasciare che la vita, nella sua enorme
complessità, possa evolvere fino a consentire strutture peculiari come il cervello dell’uomo, di cui
sappiamo l’enorme complessità.
In greco “antropos” vuol dire “essere
umano”. Perché dunque non pensare ad un
principio generale valido in tutto l’universo per il quale leggi e contenuti
fisici “si adattano” al meglio, per
favorirci?
E’ in questo senso che parliamo
di “Principio Antropico”. Le leggi
della natura e la nostra esistenza sono legate?
I valori di certi parametri sono
semplici coincidenze o rispondono ad uno schema o disegno generale che in
qualche modo ci interessano come esseri umani?
Sono domande che vengono
anche dal lontano passato, che toccano la
filosofia, la religione, la morale e la scienza, ma che soltanto da meno di
cento anni riusciamo ad affrontare con
un ampio dibattito. Forse il tutto può essere fatto risalire a Galileo: con il
telescopio, per primo si accorse dell’immensità, della prolificità e della
complessità dell’universo visibile, che oggi è sufficientemente conosciuto per argomentare con un minimo di
comprensione.
Facciamo un esempio. A livello nucleare esiste una forza molto intensa e di valore
stabilito che tiene insieme i protoni nel nucleo (si chiama forza di colore o forza forte), la cui
calibrazione è eccellente per la stessa esistenza delle stelle. Se invece di
essere quella che è, questa forza fosse diminuita del 30% il Sole si
spegnerebbe perché i protoni non resterebbero legati nel nucleo atomico, non si
formerebbero il deuterio (protone + neutrone) e, in seguito, l’elio-4 e
l’energia che fornisce luce e calore alla Terra. Il Sole non genererebbe
energia nucleare e diventerebbe una massa oscura e spenta: la vita sulla Terra
sarebbe impossibile.
Una coincidenza cosmica, una
fortuna incredibile, che le cose vadano invece in modo “giusto” e le stelle possano brillare? Al
contrario, se la forza di colore fosse appena maggiore (per esempio del 13%) di
quella che è, il Sole scoppierebbe perché le collisioni più energetiche dei
protoni favorirebbe l’innesco di reazioni di fusione a catena che in pochi
secondi brucerebbero tutto l’idrogeno disponibile. Anzi, la cosa sarebbe accaduta subito dopo il Big
Bang, e le stelle non esisterebbero.
Anche qui, una coincidenza che
non sia andata cosi? E’ accaduto invece che la precisione della regolazione della forza di colore abbia consentito di avere
l’universo che abbiamo, noi compresi: noi che veniamo dal Carbonio, un elemento
chimico versatile che consente lo sviluppo della chimica della vita. E qui
nasce la seconda considerazione da farsi, perché il carbonio, una volta
prodotto, per essere trasformato in Ossigeno ha bisogno di tre coincidenze
altamente improbabili, ma che si sono tuttavia puntualmente verificate.
Dopo la forza di colore vediamo quella elettromagnetica, che
garantisce la stabilità delle molecole, ossia dei composti stabili della
chimica. E qui, il “collo di bottiglia” è strettissimo: il valore “normale” di
un certo dato è 0,0073 e le escursioni
dell’intensità della forza elettromagnetica possono variare solo da valori
minimi di 0,0053 a massimi di 0,011. Ma le molecole da sole non bastano.
Occorre che si organizzino in modo particolare per formare la vita: che possano
formare un codice genetico, il DNA costituito da una struttura di milioni di
atomi. Semplificando, potremmo dire che tutte queste coincidenze positive hanno
sviluppato non solo “il migliore degli universi possibili”, ma forse l’unico
possibile!
A fronte di tutto questo, ecco un
primo enunciato del principio antropico: se le leggi che governano l’universo fossero
un po’ diverse da quelle che sono nella realtà, molto difficilmente si
sarebbero verificate le condizioni favorevoli all’evoluzione della vita e
quindi all’esistenza di esseri umani autocoscienti. Questa prima definizione è nota come principio
antropico debole.
Possiamo metterla anche in questi
termini: la constatazione dell’esistenza degli esseri umani costituisce la prova
che le leggi di natura sono compatibili con la generazione della vita autocosciente. Questa variante
affermativa non è la stessa cosa del primo enunciato, che contiene invece
l’implicita domanda “cosa accadrebbe se le leggi di natura fossero diverse?”.
L’interrogativo è legittimo,
poiché è nel momento del Big Bang che inizia ad esistere lo spazio-tempo,
prendono forma le leggi di natura e si determinano quelle costanti contenute in
esse, di cui abbiamo parlato.
Se tutto fosse stato diverso da
quello che è stato? Se per esempio la legge di gravitazione, anziché essere
inversamente proporzionale al quadrato della distanza, lo fosse stata di una
potenza diversa (esempio, il cubo)? In
tal caso, si dimostra che i pianeti non potrebbero orbitare stabilmente intorno
alle loro stelle e quindi niente sarebbe accaduto di quello che invece è
accaduto. Ancora: se il numero delle dimensioni spaziali del nostro universo,
anziché tre come sono, fossero state diverse? Da decenni si studiano casi come
questi. Ci sono teoremi basati sulla teoria dell’informazione che mostrano come
in un universo con 2,4,6,8…. N dimensioni, con N pari, il verificarsi della
vita sia impossibile. Ricordo che la vita è basata sul trasferimento di informazione
biochimica. In 5,7,9,…M dimensioni, con M dispari, sia gli elettroni che i
pianeti non potrebbero avere orbite stabili (elettromagnetismo + gravitazione
lo proibirebbero).
Tutte queste ricerche sulle coincidenze non sono
speculazioni scientifiche senza senso, ma veri
e propri settori di ricerca sfrondati da un banale finalismo: gli
scienziati prendono atto di queste coincidenze cosmiche, che sono un dato di
fatto, e cercano di dare risposte.
Una di queste si rifà alla fisica
quantistica e all’influenza dell’osservatore sulle misure che fa.
Ma prima di andare oltre,
facciamo un esempio gravitazionale. Voglio, io sperimentatore, calcolare la
forza gravitazionale tra due masse poste ad una certa distanza: anch’io, come
sperimentatore, influenzo la misura con la mia massa: dovrei eseguirla molto
attentamente e fare calcoli per sottrarre il mio contributo alla misura,
altrimenti non corretta. In effetti, fu proprio così che si fecero le prime
misure sperimentali: leggendo un indice tramite un cannocchiale, con lo
sperimentatore a distanza di centinaia di metri dalle masse di cui si voleva
misurare questa forza.
Dunque, qualcuno
dice, il semplice fatto che siamo qui,
autocoscienti, e stiamo per fare una misura è già di per sé una misurazione. La
misurazione che ci fornisce come risultato la constatazione che noi esistiamo e
che stiamo percependo una precisa realtà!
Filosofia o mal di testa?
Si potrebbe anche dire:
“per forza che l’universo è fatto su misura per noi, perché se le cose
andassero in modo diverso, semplicemente, non ci sarebbe nessuno ad
accorgersene”!
Resistete alla tentazione
di identificare queste affermazioni con la barzelletta del nonno, le ruote e la
carriola!
Un principio di fondo
del mondo ultramicroscopico della fisica quantistica è quello che afferma che
“nel momento in cui viene eseguita una misura, l’oggetto della misura diviene
“reale” per quel momento: così è ad esempio la misura della posizione dell’elettrone in un atomo. Ma la misura si
fa con un’apparecchiatura, che è a sua volta formata da particelle che obbediscono
anch’esse alla fisica quantistica. Dunque, come si può eseguire la misura? Qual
è il momento in cui viene eseguita? Se sono presente io, come essere vivente
autocosciente che mi accerto dell’apparecchiatura e procedo nella misura,
è come dire che l’autocoscienza è
indispensabile per rendere “reale” l’oggetto di misura. Nessuno dei padri della fisica quantistica si
mise a ridere quando si resero conto di questo problema.
Questa visione delle
cose origina una versione “forte” del Principio Antropico: è richiesta la
nostra esistenza di esseri viventi affinchè
possa esistere l’universo.
Non contenti fino in
fondo, alcuni scienziati hanno ipotizzato (e da tempo ci stanno lavorando
sopra), che questo nostro universo che vediamo
sia solo uno degli infiniti
universi possibili: è il concetto di “Multiverso” o “Universo multiplo”. Si
tratterebbe di domini nei quali le leggi e le costanti della natura possono
essere diverse da come le conosciamo. Allora noi saremmo qui, in uno degli
infiniti “posti” possibili, poiché solo
qui possiamo vivere, nella nicchia evolutiva giusta e con le giuste leggi. Anche questa è una versione del Principio
Antropico.
Supponiamo che le leggi
della natura siano quelle che conosciamo: i possibili modi di aggregazione
della materia sono moltissimi, ma non infiniti. Gli atomi sono in numero finito
e anche le forze di natura lo sono. Nel Multiverso si potranno ripetere, qua e
là, tutte le combinazioni possibili, incluse quelle a noi familiari. Magari a
grandissima distanza potremmo trovare infinite nostre copie di “persone” e
“libri” e/o loro piccole/grandi varianti. Idea sicuramente interessante.
Sconfiniamo nella fantascienza? Forse si, forse no!


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