sabato 15 settembre 2018

IL PRINCIPIO ANTROPICO


 
IL PRINCIPIO ANTROPICO

ESISTE UN RAPPORTO TRA GLI ESSERI UMANI E L’UNIVERSO ?

Affrontiamo un argomento complesso, ma  sicuramente stimolante.

Da tempo è sorto un acceso dibattito scientifico-filosofico originato dal valore numerico delle cosiddette “costanti della natura”, quei numeri che troviamo quasi dappertutto nelle leggi della fisica: la velocità della luce (c), la costante di gravitazione universale (G), la costante di Planck (h), il rapporto fra la carica e la massa dell’elettrone (e/m), e altri.  Collegato al tema, quello della validità universale delle attuali leggi della natura.

Questi numeri, con le loro cifre decimali e le loro potenze di dieci sembrano studiati apposta per consentire l’esistenza di alcuni noti elementi chimici, che a loro volta hanno la peculiarità di costruire le molecole organiche necessarie per la vita. Le stesse stelle con la loro esistenza, energia, tempo medio di vita ed evoluzione sembrano essere lì apposta per lasciare che la vita, nella sua enorme complessità, possa evolvere fino a consentire strutture  peculiari come il cervello dell’uomo, di cui sappiamo l’enorme complessità.

In greco “antropos” vuol dire “essere umano”.  Perché dunque non pensare ad un principio generale valido in tutto l’universo per il quale leggi e contenuti fisici  “si adattano” al meglio, per favorirci?

E’ in questo senso che parliamo di “Principio Antropico”. Le leggi della natura e la nostra esistenza sono legate?  I valori di certi parametri  sono semplici coincidenze o rispondono ad uno schema o disegno generale che in qualche modo ci interessano come esseri umani?
 



Sono domande che vengono anche  dal lontano passato, che toccano la filosofia, la religione, la morale e la scienza, ma che soltanto da meno di cento anni  riusciamo ad affrontare con un ampio dibattito. Forse il tutto può essere fatto risalire a Galileo: con il telescopio, per primo si accorse dell’immensità, della prolificità e della complessità dell’universo visibile, che oggi è sufficientemente  conosciuto per argomentare con un minimo di comprensione.

Facciamo un esempio.  A livello nucleare  esiste una forza molto intensa e di valore stabilito che tiene insieme i protoni nel nucleo (si chiama forza di colore o forza forte), la cui calibrazione è eccellente per la stessa esistenza delle stelle. Se invece di essere quella che è, questa forza fosse diminuita del 30% il Sole si spegnerebbe perché i protoni non resterebbero legati nel nucleo atomico, non si formerebbero il deuterio (protone + neutrone) e, in seguito, l’elio-4 e l’energia che fornisce luce e calore alla Terra. Il Sole non genererebbe energia nucleare e diventerebbe una massa oscura e spenta: la vita sulla Terra sarebbe impossibile.

Una coincidenza cosmica, una fortuna incredibile, che le cose vadano invece in  modo “giusto” e le stelle possano brillare? Al contrario, se la forza di colore fosse appena maggiore (per esempio del 13%) di quella che è, il Sole scoppierebbe perché le collisioni più energetiche dei protoni favorirebbe l’innesco di reazioni di fusione a catena che in pochi secondi brucerebbero tutto l’idrogeno disponibile. Anzi,  la cosa sarebbe accaduta subito dopo il Big Bang, e le stelle non esisterebbero.

Anche qui, una coincidenza che non sia andata cosi? E’ accaduto invece che la precisione della regolazione della  forza di colore abbia consentito di avere l’universo che abbiamo, noi compresi: noi che veniamo dal Carbonio, un elemento chimico versatile che consente lo sviluppo della chimica della vita. E qui nasce la seconda considerazione da farsi, perché il carbonio, una volta prodotto, per essere trasformato in Ossigeno ha bisogno di tre coincidenze altamente improbabili, ma che si sono tuttavia puntualmente verificate.
 
 


Costanti di natura come valori incisi nelle tavole che regolano l’universo ?


Dopo la forza di colore  vediamo quella elettromagnetica, che garantisce la stabilità delle molecole, ossia dei composti stabili della chimica. E qui, il “collo di bottiglia” è strettissimo: il valore “normale” di un certo dato  è 0,0073 e le escursioni dell’intensità della forza elettromagnetica possono variare solo da valori minimi di 0,0053 a massimi di 0,011. Ma le molecole da sole non bastano. Occorre che si organizzino in modo particolare per formare la vita: che possano formare un codice genetico, il DNA costituito da una struttura di milioni di atomi. Semplificando, potremmo dire che tutte queste coincidenze positive hanno sviluppato non solo “il migliore degli universi possibili”, ma forse l’unico possibile!

A fronte di tutto questo, ecco un primo enunciato del principio antropico: se le leggi che governano l’universo fossero un po’ diverse da quelle che sono nella realtà, molto difficilmente si sarebbero verificate le condizioni favorevoli all’evoluzione della vita e quindi all’esistenza di esseri umani autocoscienti.  Questa prima definizione è nota come  principio antropico debole.

Possiamo metterla anche in questi termini:  la constatazione dell’esistenza degli esseri umani costituisce la prova che le leggi di natura sono compatibili con la generazione della vita  autocosciente. Questa variante affermativa non è la stessa cosa del primo enunciato, che contiene invece l’implicita domanda “cosa accadrebbe se le leggi di natura fossero diverse?”.

L’interrogativo è legittimo, poiché è nel momento del Big Bang che inizia ad esistere lo spazio-tempo, prendono forma le leggi di natura e si determinano quelle costanti contenute in esse, di cui abbiamo parlato.

Se tutto fosse stato diverso da quello che è stato? Se per esempio la legge di gravitazione, anziché essere inversamente proporzionale al quadrato della distanza, lo fosse stata di una potenza diversa (esempio, il cubo)?  In tal caso, si dimostra che i pianeti non potrebbero orbitare stabilmente intorno alle loro stelle e quindi niente sarebbe accaduto di quello che invece è accaduto. Ancora: se il numero delle dimensioni spaziali del nostro universo, anziché tre come sono, fossero state diverse? Da decenni si studiano casi come questi. Ci sono teoremi basati sulla teoria dell’informazione che mostrano come in un universo con 2,4,6,8…. N dimensioni, con N pari, il verificarsi della vita sia impossibile. Ricordo che la vita è basata sul trasferimento di informazione biochimica. In 5,7,9,…M dimensioni, con M dispari, sia gli elettroni che i pianeti non potrebbero avere orbite stabili (elettromagnetismo + gravitazione lo proibirebbero).

Tutte  queste ricerche sulle coincidenze non sono speculazioni scientifiche senza senso, ma veri  e propri settori di ricerca sfrondati da un banale finalismo: gli scienziati prendono atto di queste coincidenze cosmiche, che sono un dato di fatto, e cercano di dare risposte.

Una di queste si rifà alla fisica quantistica e all’influenza dell’osservatore sulle misure che fa.

Ma prima di andare oltre, facciamo un esempio gravitazionale. Voglio, io sperimentatore, calcolare la forza gravitazionale tra due masse poste ad una certa distanza: anch’io, come sperimentatore, influenzo la misura con la mia massa: dovrei eseguirla molto attentamente e fare calcoli per sottrarre il mio contributo alla misura, altrimenti non corretta. In effetti, fu proprio così che si fecero le prime misure sperimentali: leggendo un indice tramite un cannocchiale, con lo sperimentatore a distanza di centinaia di metri dalle masse di cui si voleva misurare questa forza.

Dunque, qualcuno dice,  il semplice fatto che siamo qui, autocoscienti, e stiamo per fare una misura è già di per sé una misurazione. La misurazione che ci fornisce come risultato la constatazione che noi esistiamo e che stiamo percependo una precisa realtà!  Filosofia o mal di testa?

Si potrebbe anche dire: “per forza che l’universo è fatto su misura per noi, perché se le cose andassero in modo diverso, semplicemente, non ci sarebbe nessuno ad accorgersene”!

Resistete alla tentazione di identificare queste affermazioni con la barzelletta del nonno, le ruote e la carriola!

Un principio di fondo del mondo ultramicroscopico della fisica quantistica è quello che afferma che “nel momento in cui viene eseguita una misura, l’oggetto della misura diviene “reale” per quel momento: così è ad esempio la misura della posizione  dell’elettrone in un atomo. Ma la misura si fa con un’apparecchiatura, che è a sua volta formata da particelle che obbediscono anch’esse alla fisica quantistica. Dunque, come si può eseguire la misura? Qual è il momento in cui viene eseguita? Se sono presente io, come essere vivente autocosciente che mi accerto dell’apparecchiatura e procedo nella misura, è  come dire che l’autocoscienza è indispensabile per rendere “reale” l’oggetto di misura.  Nessuno dei padri della fisica quantistica si mise a ridere quando si resero conto di questo problema.

Questa visione delle cose origina una versione “forte” del Principio Antropico: è richiesta la nostra esistenza di esseri viventi affinchè  possa esistere l’universo.

Non contenti fino in fondo, alcuni scienziati hanno ipotizzato (e da tempo ci stanno lavorando sopra), che questo nostro universo che vediamo  sia  solo uno degli infiniti universi possibili: è il concetto di “Multiverso” o “Universo multiplo”. Si tratterebbe di domini nei quali le leggi e le costanti della natura possono essere diverse da come le conosciamo. Allora noi saremmo qui, in uno degli infiniti  “posti” possibili, poiché solo qui possiamo vivere, nella nicchia evolutiva giusta e con le giuste leggi.  Anche questa è una versione del Principio Antropico.

Supponiamo che le leggi della natura siano quelle che conosciamo: i possibili modi di aggregazione della materia sono moltissimi, ma non infiniti. Gli atomi sono in numero finito e anche le forze di natura lo sono. Nel Multiverso si potranno ripetere, qua e là, tutte le combinazioni possibili, incluse quelle a noi familiari. Magari a grandissima distanza potremmo trovare infinite nostre copie di “persone” e “libri” e/o loro piccole/grandi varianti. Idea sicuramente interessante. Sconfiniamo nella fantascienza? Forse si, forse no!

 

 
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