venerdì 2 dicembre 2016

ONDE GRAVITAZIONALI


Blog  PASSIONE UNIVERSO di Ivan Spelti

 

           scoperte 100 anni dopo la previsione di Einstein  

            LE ONDE GRAVITAZIONALI

L’universo è il luogo dove, per eccellenza, gli eventi catastrofici ci danno le informazioni più importanti. Siamo abituati alla relativa tranquillità dei moti planetari, alle  osservazioni del cielo che fanno battere il cuore degli innamorati, al calore del Sole che ci scalda. In realtà, sappiamo che le stelle possono esplodere, le galassie si muovono velocemente a centinaia di migliaia di km/h e tendono a raggrupparsi su distanze di miliardi di km, che tutto è in evoluzione perché l’aspetto odierno dell’universo è diversissimo da quello di miliardi di anni fa.

Non ci siamo quindi stupiti più di tanto quando abbiamo scoperto che due buchi neri, rispettivamente 29 e 36 volte più massicci del Sole, 1,3 miliardi di anni fa, hanno iniziato a danzare tra loro e spiralizzando sono poi entrati in collisione alla fantastica velocità di 150.000 Km/s (la metà della velocità della luce) “fondendosi” in un’unica entità quasi somma delle loro masse (62, anziché 65) e rilasciando energia sottoforma di onde gravitazionali pari alla conversione di 3 masse solari, in circa 100 secondi.

 

Tutti conoscete, cari lettori, l’equazione E = m.c^2 e quindi sapete che la massa si trasforma in energia: 3 Soli che si convertono in energia sono una cosa spaventosa ed è ciò che ha prodotto le onde gravitazionali del sistema binario di buchi neri.

Queste onde gravitazionali sono state rivelate il 14 settembre 2015 come prima conclusione di una lunga fase di ricerca che ha interessato principalmente due osservatori, uno americano ed uno europeo (collaborazione italo-francese). L’11 febbraio 2016 l’annuncio in contemporanea dei responsabili scientifici dei due gruppi di ricerca: qualche mese è servito per avere la certezza che non c’erano stati errori di interpretazione.

L’universo ci “ha parlato” attraverso una infinitesima increspatura dello spazio-tempo, rivelata con strumentazioni ad altissima tecnologia (interferometri laser con bracci utili di 3 km, nei quali la luce viene fatta passare in condizioni di “ultra alto vuoto”).


 

Abbiamo raccolto un segnale che diventava sempre più ampio, simile ad un acuto sibilo, a mano a mano che la reciproca cannibalizzazione dei buchi neri procedeva verso la loro fusione.

 



Le onde gravitazionali sono la conferma della previsione di Einstein di 100 anni fa (1916), contenuta nelle sue equazioni del campo gravitazionale. Possiamo dire, a tal proposito, che le celebrazioni dello scorso anno  del centenario della Relatività Generale continuano.

Einstein aveva predetto che quando una qualsiasi massa nell’universo (una stella, un pianeta, un sasso, un buco nero) viene accelerata, emette onde gravitazionali: la sfida era cercare di rivelare i deboli e complessi segnali emessi, poiché l’oscillazione dello spazio-tempo riguardava tutto e tutti, anche gli strumenti rivelatori che ne erano investiti.

Le complicate equazioni di Einstein ponevano in diretta corrispondenza biunivoca lo spazio-tempo (la sua geometria, come si dice) con la materia. Famosa la sintesi di Wheeler (il fisico che ha coniato il termine buco nero): << la materia “dice” allo spazio come curvarsi e lo spazio “dice” alla materia come muoversi>>.

La gravità non è più solo la forza attrattiva che ci ha insegnato Newton a metà del ‘600, ma per Einstein è  in definitiva una geometria: spazio e tempo non sono un palcoscenico immobile, statico e assoluto, ma sono come un telo plastico deformabile sotto l’effetto delle masse presenti nell’universo. Un po’ come quando un ippopotamo si siede su un letto robusto e deforma il materasso. O, se preferite un’altra similitudine, come le  biglie colorate dei bambini disposte su un piatto pieno di panna cotta: anche qui avremo piccole deformazioni (concavità) prodotte dalle masserelle delle biglie sulla superficie della panna cotta.

Quando un’onda gravitazionale parte da una sorgente che l’ha prodotta e giunge ad un osservatore (noi), lo spazio-tempo interposto viene deformato, si allunga o si accorcia ritmicamente come un’onda che oscilla: l’intensità dell’effetto diminuisce all’aumentare della loro distanza.

Un punto vista e una conclusione scardinante rispetto al nostro abituale modo pensare, per il quale supponiamo che esista sempre uno spazio (esempio, una stanza) nel quale possa esserci o meno della materia dentro. Da 100 anni sappiamo che contenitore e contenuto formano un’unica realtà ed il palcoscenico dell’universo come un tutto ha come attori spazio, tempo, gravitazione, accelerazione dei corpi (vale a dire, movimenti con velocità variabile). Numerose prove sperimentali hanno confermato la correttezza di questa visione dell’universo (deviazione della luce delle stelle vicino al Sole, precessione delle orbite dei pianeti, lo stesso GPS delle nostre automobili per venire a cose più vicine a noi). Il lettore di questa rubrica ricorderà che in altre occasioni ho parlato di questo cambiamento di prospettiva scientifica (articolo sul Big Bang).

Le masse dell’universo sono le “cariche del campo gravitazionale”: deformano lo spazio-tempo e deviano la luce, ovvero le onde elettromagnetiche. Questo lo sappiamo già da tempo, come sappiamo che tali masse devono essere particolarmente elevate per dar luogo ad eventi significativi rilevabili. In teoria anche due ballerini potrebbero creare increspature nello spazio-tempo, ma l’intensità del fenomeno sarebbe del tutto non rilevabile essendo miliardi di miliardi di miliardi di volte sotto la soglia delle nostre capacità identificative. La gravità, seppur  forza dominante nell’universo, è quantitativamente molto debole: è per questo che occorrono oggetti celesti molto massicci e se possibile relativamente vicini per determinare valori intensi delle onde gravitazionali.

L’evento catastrofico rivelato, verificatosi a distanza lontanissima, ha liberato un’energia spaventosa e la produzione di onde, seppur indebolite, ci sono giunte come marchio indelebile dell’evento, conservandone la memoria, viaggiando alla velocità della luce, pochissimo disturbate dalla materia incontrata durante il viaggio.

E’ stato il trionfo di un gruppo di ricercatori internazionali ostinati. I fisici sono in estasi. Seguirà il Nobel (quasi certamente, americano). Gli scienziati hanno fortemente creduto nella predittività della Relatività Generale di Einstein, ed impostato e realizzato gli esperimenti adatti. Per gli scettici (se ne trovano sempre) dirò che la probabilità di essere certi della scoperta avvenuta è del 99,999%, identica a quella che ha condotto alla scoperta del bosone di Higgs al CERN di Ginevra pochi anni fa.

Vogliamo parlare di precisione richiesta nelle misure di identificazione? E’ richiesta una precisione delle misure interferometriche di (10 ^ - 23), ossia zero virgola, ventidue zeri e poi 1. Come dire la capacità sperimentale di vedere accorciarsi o allungarsi un bastoncino lungo 1 miliardo di un miliardo di Km  di  +- 5millimetri.

Se volete, provate a pensare anche  che un’onda gravitazionale che attraversi il nostro corpo lo allungherebbe o accorcerebbe di una distanza inferiore al diametro di un protone: 10^-15 metri.

Due parole sulla strumentazione utilizzata e gli scienziati protagonisti (750 del consorzio americano e 250 di quello italo-francese).

L’ interferometro americano LIGO e quello italiano VIRGO sono i primi di una rete globale di rivelatori di onde gravitazionali, che si estende anche al Giappone e all’Australia, costati rispettivamente 620 milioni di dollari e 78 milioni di euro. In realtà, l’osservatorio LIGO è doppio, con strutture gemelle: uno si trova a Handford, nello stato di Washington, e l’altro a Livingston, in Louisiana, distante 3.300 km. Avere un doppio osservatorio è garanzia che gli eventi registrati non vengono alterati da microterremoti o altro.


Nelle figure, vedete il principio di funzionamento e lo schema degli interferometri, con i due bracci ortogonali. Due fasci laser vengono riflessi da specchi che li fanno andare avanti e indietro centinaia di volte allungandone il percorso fino a 300 Km.


 

Quando i fasci tornano ad unirsi, si produce una figura d’interferenza delle onde in arrivo, il che significa che se uno dei due bracci  viene colpito da un’onda gravitazionale, può allungarsi o accorciarsi rispetto all’altro. Questa tecnica consente di rilevare variazioni subatomiche, dell’ordine delle dimensioni di un miliardesimo del diametro di un atomo. 

     

Un ricercatore italiano, Marco Drago, solito “cervello in fuga” ora in Germania (parte del network internazionale), ha messo a punto l’algoritmo di calcolo che valuta i dati raccolti da LIGO e ha rilevato il segnale della durata di pochi millisecondi.                                                  

Cosa cambia? Quali prospettive si aprono per l’astrofisica gravitazionale? Finora l’esplorazione dell’universo è  stata consentita dalle onde elettromagnetiche (la luce raccolta dai telescopi, le onde radio con i radiotelescopi, raggi x e gamma, ecc…) mediante fotoni di diversa frequenza: queste onde ci portano l’informazione dal lontano passato ed interagiscono con la materia  durante il loro cammino.

Come le onde elettromagnetiche sono le vibrazioni del campo elettromagnetico indotte dal moto oscillatorio delle cariche elettriche, l’onda gravitazionale è la vibrazione dello spazio-tempo indotta dall’accelerazione delle masse. Nel nostro caso rivelato si è prodotta un’accelerazione durante la  rotazione a spirale dei due buchi neri. Un paragone ancora per capire meglio?

E’ come se fossimo immersi in un mare a calma piatta fino al collo: sappiamo di avere intorno del liquido, ma è fermo, immobile e non ci porta informazioni. Da una qualche parte uno butta un pietrone in acqua: passa del tempo (magari 1,3 miliardi di anni) e noi sentiamo che l’acqua si alza e si abbassa, non è più ferma. Deve essere successo qualcosa: abbiamo un’informazione, prima inesistente. Pazientemente, potremo cercare di capire  da chi e come ci è stata inviata.

Una volta rotto il ghiaccio, ci aspettiamo nei prossimi anni l’identificazione di altri eventi similari, da sorgenti nell’universo che già stiamo tenendo monitorate. Il fatto più importante, dopo quanto abbiamo detto, è che l’uomo ha acquistato un nuovo senso, che non credeva di possedere: possiamo “sentire” l’universo. Il segnale elettromagnetico può infatti essere convertito in acustico, dal computer. Oggi la NASA fa già queste conversioni per i pianeti, facendone ascoltare “il suono” in base alla loro emissione elettromagnetica.

Il fotone, il quanto del campo elettromagnetico, non è più il solo a portarci le informazioni dell’universo. Inoltre, c’è stato un tempo nelle fasi oscure dell’universo, in cui non c’era luce e quindi nessuna informazione.

Se la scoperta attuale è una conferma dell’esistenza dei buchi neri e la prova diretta della loro esistenza, a lungo teorizzati e previsti nei decenni addietro, lo scenario che si apre interesserà a breve le informazioni sul comportamento delle stelle binarie in procinto di collassare l’una sull’altra, i gigantesche buchi neri di milioni e miliardi di masse solari posti al centro delle galassie, i diversi corpi oscuri di cui oggi ignoriamo l’esistenza, via via a ritroso fino alle onde gravitazionali dell’epoca primordiale, ben più indietro dei 380.000 anni dopo il Big Bang da cui sono partiti  luce e radiazioni.

Da ultimo voglio sottolineare che il ruolo  della Fisica italiana in questo progetto è stato ancora una volta rilevante. L’INFN (Istituto Nazionale di Fisica Nucleare) e le nostre università hanno scritto una pagina di eccellenza in questa ricerca e fornito esempio virtuoso di cosa si intenda per collaborazione internazionale nel campo scientifico: peccato, solo, che all’arrivo del segnale, l’italiano VIRGO fosse fermo per manutenzione e quindi solo i due gemelli americani LIGO  lo abbiano rilevato.

Sia noi italiani che gli americani stiamo investendo per il futuro degli interferometri: come sempre, sarà un problema di soldi, più facile da risolvere per gli americani che come dicevo, avranno il premio Nobel. Infine, nel 2034 sarà operativo “eLISA”, l’evoluzione di questi nostri interferometri odierni: sarà costituito da 3 satelliti artificiali dotati di interferometri, collocati in orbita intorno al Sole e operanti su lunghezze che oggi non possiamo nemmeno pensare sulla Terra ( milioni di km).


 

 

 pubblicato su Stampa Reggiana, 2016. Copyright

 

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