Blog PASSIONE UNIVERSO di Ivan Spelti
scoperte 100 anni dopo la previsione di
Einstein
LE ONDE GRAVITAZIONALI
L’universo è il luogo dove, per
eccellenza, gli eventi catastrofici ci danno le informazioni più importanti.
Siamo abituati alla relativa tranquillità dei moti planetari, alle osservazioni del cielo che fanno battere il
cuore degli innamorati, al calore del Sole che ci scalda. In realtà, sappiamo
che le stelle possono esplodere, le galassie si muovono velocemente a centinaia
di migliaia di km/h e tendono a raggrupparsi su distanze di miliardi di km, che
tutto è in evoluzione perché l’aspetto odierno dell’universo è diversissimo da
quello di miliardi di anni fa.
Non ci siamo quindi stupiti più
di tanto quando abbiamo scoperto che due buchi neri, rispettivamente 29 e 36
volte più massicci del Sole, 1,3 miliardi di anni fa, hanno iniziato a danzare
tra loro e spiralizzando sono poi entrati in collisione alla fantastica
velocità di 150.000 Km/s (la metà della velocità della luce) “fondendosi” in
un’unica entità quasi somma delle loro masse (62, anziché 65) e rilasciando
energia sottoforma di onde gravitazionali pari alla conversione di 3 masse
solari, in circa 100 secondi.
Tutti conoscete, cari lettori, l’equazione
E = m.c^2 e quindi sapete che la
massa si trasforma in energia: 3 Soli che si convertono in energia sono una
cosa spaventosa ed è ciò che ha prodotto le onde gravitazionali del sistema
binario di buchi neri.
Queste onde gravitazionali sono
state rivelate il 14 settembre 2015 come prima conclusione di una lunga fase di
ricerca che ha interessato principalmente due osservatori, uno americano ed uno
europeo (collaborazione italo-francese). L’11 febbraio 2016 l’annuncio in
contemporanea dei responsabili scientifici dei due gruppi di ricerca: qualche
mese è servito per avere la certezza che non c’erano stati errori di
interpretazione.
L’universo ci “ha parlato”
attraverso una infinitesima increspatura dello spazio-tempo, rivelata con
strumentazioni ad altissima tecnologia (interferometri laser con bracci utili
di 3 km, nei quali la luce viene fatta passare in condizioni di “ultra alto
vuoto”).
Abbiamo raccolto un segnale che
diventava sempre più ampio, simile ad un acuto sibilo, a mano a mano che la
reciproca cannibalizzazione dei buchi neri procedeva verso la loro fusione.
Le onde gravitazionali sono la
conferma della previsione di Einstein di 100 anni fa (1916), contenuta nelle
sue equazioni del campo gravitazionale. Possiamo dire, a tal proposito, che le
celebrazioni dello scorso anno del
centenario della Relatività Generale continuano.
Einstein aveva predetto che
quando una qualsiasi massa nell’universo (una stella, un pianeta, un sasso, un
buco nero) viene accelerata, emette onde gravitazionali: la sfida era cercare
di rivelare i deboli e complessi segnali emessi, poiché l’oscillazione dello
spazio-tempo riguardava tutto e tutti, anche gli strumenti rivelatori che ne
erano investiti.
Le complicate equazioni di
Einstein ponevano in diretta corrispondenza biunivoca lo spazio-tempo (la sua geometria,
come si dice) con la materia. Famosa la sintesi di Wheeler (il fisico che ha
coniato il termine buco nero): << la materia “dice” allo spazio come
curvarsi e lo spazio “dice” alla materia come muoversi>>.
La gravità non è più solo la
forza attrattiva che ci ha insegnato Newton a metà del ‘600, ma per Einstein è in definitiva una geometria: spazio e tempo
non sono un palcoscenico immobile, statico e assoluto, ma sono come un telo
plastico deformabile sotto l’effetto delle masse presenti nell’universo. Un po’
come quando un ippopotamo si siede su un letto robusto e deforma il materasso.
O, se preferite un’altra similitudine, come le
biglie colorate dei bambini disposte su un piatto pieno di panna cotta:
anche qui avremo piccole deformazioni (concavità) prodotte dalle masserelle
delle biglie sulla superficie della panna cotta.
Quando un’onda gravitazionale
parte da una sorgente che l’ha prodotta e giunge ad un osservatore (noi), lo
spazio-tempo interposto viene deformato, si allunga o si accorcia ritmicamente
come un’onda che oscilla: l’intensità dell’effetto diminuisce all’aumentare
della loro distanza.
Un punto vista e una conclusione
scardinante rispetto al nostro abituale modo pensare, per il quale supponiamo che
esista sempre uno spazio (esempio, una stanza) nel quale possa esserci o meno
della materia dentro. Da 100 anni sappiamo che contenitore e contenuto formano
un’unica realtà ed il palcoscenico dell’universo come un tutto ha come attori
spazio, tempo, gravitazione, accelerazione dei corpi (vale a dire, movimenti
con velocità variabile). Numerose prove sperimentali hanno confermato la
correttezza di questa visione dell’universo (deviazione della luce delle stelle
vicino al Sole, precessione delle orbite dei pianeti, lo stesso GPS delle
nostre automobili per venire a cose più vicine a noi). Il lettore di questa
rubrica ricorderà che in altre occasioni ho parlato di questo cambiamento di
prospettiva scientifica (articolo sul Big Bang).
Le masse dell’universo sono le
“cariche del campo gravitazionale”: deformano lo spazio-tempo e deviano la
luce, ovvero le onde elettromagnetiche. Questo lo sappiamo già da tempo, come
sappiamo che tali masse devono essere particolarmente elevate per dar luogo ad
eventi significativi rilevabili. In teoria anche due ballerini potrebbero
creare increspature nello spazio-tempo, ma l’intensità del fenomeno sarebbe del
tutto non rilevabile essendo miliardi di miliardi di miliardi di volte sotto la
soglia delle nostre capacità identificative. La gravità, seppur forza dominante nell’universo, è
quantitativamente molto debole: è per questo che occorrono oggetti celesti
molto massicci e se possibile relativamente vicini per determinare valori
intensi delle onde gravitazionali.
L’evento catastrofico rivelato,
verificatosi a distanza lontanissima, ha liberato un’energia spaventosa e la
produzione di onde, seppur indebolite, ci sono giunte come marchio indelebile
dell’evento, conservandone la memoria, viaggiando alla velocità della luce, pochissimo
disturbate dalla materia incontrata durante il viaggio.
E’ stato il trionfo di un gruppo
di ricercatori internazionali ostinati. I fisici sono in estasi. Seguirà il
Nobel (quasi certamente, americano). Gli scienziati hanno fortemente creduto nella
predittività della Relatività Generale di Einstein, ed impostato e realizzato
gli esperimenti adatti. Per gli scettici (se ne trovano sempre) dirò che la
probabilità di essere certi della scoperta avvenuta è del 99,999%, identica a
quella che ha condotto alla scoperta del bosone di Higgs al CERN di Ginevra pochi
anni fa.
Vogliamo parlare di precisione
richiesta nelle misure di identificazione? E’ richiesta una precisione delle
misure interferometriche di (10 ^ - 23), ossia zero virgola,
ventidue zeri e poi 1. Come dire la capacità sperimentale di vedere accorciarsi
o allungarsi un bastoncino lungo 1 miliardo di un miliardo di Km di +- 5millimetri.
Se volete, provate a
pensare anche che un’onda gravitazionale
che attraversi il nostro corpo lo allungherebbe o accorcerebbe di una distanza
inferiore al diametro di un protone: 10^-15
metri.
Due parole sulla
strumentazione utilizzata e gli scienziati protagonisti (750 del consorzio
americano e 250 di quello italo-francese).
L’ interferometro
americano LIGO e quello italiano VIRGO sono i primi di una rete globale di
rivelatori di onde gravitazionali, che si estende anche al Giappone e all’Australia,
costati rispettivamente 620 milioni di dollari e 78 milioni di euro. In realtà,
l’osservatorio LIGO è doppio, con strutture gemelle: uno si trova a Handford,
nello stato di Washington, e l’altro a Livingston, in Louisiana, distante 3.300
km. Avere un doppio osservatorio è garanzia che gli eventi registrati non
vengono alterati da microterremoti o altro.
Nelle figure, vedete il
principio di funzionamento e lo schema degli interferometri, con i due bracci
ortogonali. Due fasci laser vengono riflessi da specchi che li fanno andare
avanti e indietro centinaia di volte allungandone il percorso fino a 300 Km.
Quando i fasci tornano
ad unirsi, si produce una figura d’interferenza delle onde in arrivo, il che significa
che se uno dei due bracci viene colpito
da un’onda gravitazionale, può allungarsi o accorciarsi rispetto all’altro. Questa
tecnica consente di rilevare variazioni subatomiche, dell’ordine delle
dimensioni di un miliardesimo del diametro di un atomo.
Un ricercatore
italiano, Marco Drago, solito “cervello in fuga” ora in Germania (parte del
network internazionale), ha messo a punto l’algoritmo di calcolo che valuta i
dati raccolti da LIGO e ha rilevato il segnale della durata di pochi
millisecondi.
Cosa cambia? Quali prospettive si
aprono per l’astrofisica gravitazionale? Finora l’esplorazione dell’universo
è stata consentita dalle onde
elettromagnetiche (la luce raccolta dai telescopi, le onde radio con i
radiotelescopi, raggi x e gamma, ecc…) mediante fotoni di diversa frequenza:
queste onde ci portano l’informazione dal lontano passato ed interagiscono con
la materia durante il loro cammino.
Come le onde elettromagnetiche
sono le vibrazioni del campo elettromagnetico indotte dal moto oscillatorio
delle cariche elettriche, l’onda gravitazionale è la vibrazione dello
spazio-tempo indotta dall’accelerazione delle masse. Nel nostro caso rivelato
si è prodotta un’accelerazione durante la rotazione a spirale dei due buchi neri. Un
paragone ancora per capire meglio?
E’ come se fossimo immersi in un
mare a calma piatta fino al collo: sappiamo di avere intorno del liquido, ma è
fermo, immobile e non ci porta informazioni. Da una qualche parte uno butta un
pietrone in acqua: passa del tempo (magari 1,3 miliardi di anni) e noi sentiamo
che l’acqua si alza e si abbassa, non è più ferma. Deve essere successo
qualcosa: abbiamo un’informazione, prima inesistente. Pazientemente, potremo
cercare di capire da chi e come ci è stata
inviata.
Una volta rotto il ghiaccio, ci
aspettiamo nei prossimi anni l’identificazione di altri eventi similari, da
sorgenti nell’universo che già stiamo tenendo monitorate. Il fatto più
importante, dopo quanto abbiamo detto, è che l’uomo ha acquistato un nuovo
senso, che non credeva di possedere: possiamo “sentire” l’universo. Il segnale
elettromagnetico può infatti essere convertito in acustico, dal computer. Oggi
la NASA fa già queste conversioni per i pianeti, facendone ascoltare “il suono”
in base alla loro emissione elettromagnetica.
Il fotone, il quanto del campo
elettromagnetico, non è più il solo a portarci le informazioni dell’universo.
Inoltre, c’è stato un tempo nelle fasi oscure dell’universo, in cui non c’era
luce e quindi nessuna informazione.
Se la scoperta attuale è una conferma
dell’esistenza dei buchi neri e la prova diretta della loro esistenza, a lungo
teorizzati e previsti nei decenni addietro, lo scenario che si apre interesserà
a breve le informazioni sul comportamento delle stelle binarie in procinto di
collassare l’una sull’altra, i gigantesche buchi neri di milioni e miliardi di
masse solari posti al centro delle galassie, i diversi corpi oscuri di cui oggi
ignoriamo l’esistenza, via via a ritroso fino alle onde gravitazionali dell’epoca
primordiale, ben più indietro dei 380.000 anni dopo il Big Bang da cui sono
partiti luce e radiazioni.
Da ultimo voglio sottolineare che
il ruolo della Fisica italiana in questo
progetto è stato ancora una volta rilevante. L’INFN (Istituto Nazionale di
Fisica Nucleare) e le nostre università hanno scritto una pagina di eccellenza
in questa ricerca e fornito esempio virtuoso di cosa si intenda per
collaborazione internazionale nel campo scientifico: peccato, solo, che
all’arrivo del segnale, l’italiano VIRGO fosse fermo per manutenzione e quindi
solo i due gemelli americani LIGO lo
abbiano rilevato.
Sia noi italiani che gli
americani stiamo investendo per il futuro degli interferometri: come sempre,
sarà un problema di soldi, più facile da risolvere per gli americani che come
dicevo, avranno il premio Nobel. Infine, nel 2034 sarà operativo “eLISA”,
l’evoluzione di questi nostri interferometri odierni: sarà costituito da 3
satelliti artificiali dotati di interferometri, collocati in orbita intorno al
Sole e operanti su lunghezze che oggi non possiamo nemmeno pensare sulla Terra
( milioni di km).






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