giovedì 1 dicembre 2016

CENTO ANNI DI RELATIVITA' GENERALE




Blog PASSIONE UNIVERSO di Ivan Spelti

 

   LA RELATIVITA’ GENERALE HA CENTO ANNI

            La moderna struttura dell’universo secondo Einstein

 

Devo confessare che quando vedo un ragazzo con la maglietta di Einstein coi capelli arruffati e la lingua fuori, con quegli occhi profondi e malinconici, provo gioia e mi dico: ecco un’icona positiva per i nostri giovani. Non è vero che seguono solo strimpellatori del momento, portatori ahimè di discutibili messaggi e varie banalità. Vi voglio quindi raccontare la sua storia più bella, che è anche una delle principali ed edificanti del secolo scorso: la storia di uno studente con un percorso scolastico incerto, nel quale eccelleva solo in matematica e fisica non senza sbeffeggiare alcuni professori, con una laurea senza prospettive, innamorato e senza un soldo e che solo grazie all’aiuto di un amico ottiene un misero impiego, dopo avere pensato addirittura di suonare il violino per la strada per sbarcare il lunario.

Nel 1905, annus mirabilis, Albert Einstein anonimo impiegato all’Ufficio Brevetti di Berna scrive in pochi mesi alcuni articoli di fisica, ciascuno dei quali avrebbe meritato il premio Nobel: il primo sul moto browniano (nel quale fornisce la prova definitiva dell’esistenza degli atomi), l’altro sulla natura corpuscolare della luce (effetto fotoelettrico e convalida dell’ipotesi dei quanti di Planck), un terzo sull’equivalenza massa=energia (E= mc^2) e l’ultimo sull’elettrodinamica dei corpi in movimento, antesignano della teoria della Relatività Ristretta, in cui pone il limite costante alla velocità della luce e l’invarianza delle leggi fisiche per gli osservatori inerziali, ossia in moto relativo uniforme tra loro. Ha 25 anni, ha appena contratto un matrimonio non approvato dai suoi e che di fatto naufragherà dopo appena 10 anni,, e vive appena sopra la soglia di povertà. Tuttavia, pur nel contrasto con molti fisici del suo tempo, le idee formalizzate nei diversi articoli cominciano piano piano ad essere prese in considerazione e in pochi anni Einstein riceve diverse proposte in ambito universitario che lo affrancheranno dal precedente lavoro.    

In questi anni, si rende conto che la sua teoria della Relatività è incompleta, poiché riguarda solo i sistemi di riferimento che si muovono tra loro a velocità costante. Dopotutto, pensa, i moti avvengono in genere con velocità  variabile nel tempo, ossia in presenza di accelerazioni: la nostra stessa vita di ogni giorno non si svolge altro che in sistemi accelerati o decelerati (prendiamo l’ascensore, guidiamo una vettura, e così via). In particolare, i moti dei corpi celesti evidenziano curvature, orbite ellittiche (i pianeti si muovono così): in fisica, orbite di questo tipo sono possibili solo quando sui corpi agiscono delle accelerazioni. Il pensiero di Einstein si rivolge quindi a tutto l’universo, ai moti dei corpi presenti, per capire se sia possibile trovare una legge generale che li spieghi e in definitiva generalizzi l’interazione gravitazionale che 250 anni prima Newton aveva determinato.

        


                           Albert Einstein a 36 anni                                                              

Il 25 novembre 1915 Albert Einstein presentava all’Accademia delle Scienze di Berlino “Le equazioni di campo della gravitazione”, ovvero i fondamenti della Relatività Generale, unanimemente riconosciuta come la “più bella delle teorie della fisica”.

Ciò che scrisse alla lavagna fu poi, il 20 marzo 1916, dettagliato e pubblicato in 54 paginette sulla celebre rivista tedesca Annalen der Physik: ecco perché le celebrazioni del centenario sono iniziate lo scorso anno e si estendono anche al 2016.


Era allo stremo delle forze: in precedenza era sprofondato in un abisso di equazioni, che scriveva e cancellava, aveva abbandonato ogni attività che minacciasse la  sua concentrazione sul problema, non distingueva il giorno dalla notte e spesso saltava i pasti. In più, aveva il fiato sul collo del grande matematico tedesco David Hilbert, che dopo avere individuato diversi errori nelle elaborazioni precedenti delle equazioni, si era impossessato del problema cercandone  a sua volta la soluzione. Einstein vinse sul filo di lana, dopo avere scambiato numerose lettere con Hilbert, che alla fine, signorilmente, gli riconobbe completamente il merito della grande scoperta. Fu il suo acutissimo senso della fisica che prevalse: il 18 novembre, una settimana prima, aveva scoperto che la sua ultima versione delle equazioni consentiva di calcolare l’irregolarità (precessione) nel perielio di Mercurio e al tempo stesso riconduceva alla classica teoria della gravitazione di Newton in campi gravitazionali deboli. La scoperta gli provocò euforia e tachicardia per diversi giorni.

 
               

                Le equazioni del campo (1.a versione)                                                le masse deformano lo spazio-tempo

Ma cos’era tutto questo ricercare, da dove nasceva l’esigenza che Einstein sentiva di spiegare come funzionava l’universo?

Nella seconda metà del ‘600, Isaac Newton aveva prodotto la legge di gravitazione universale: le masse dell’universo si attirano sempre con una forza direttamente proporzionale al loro  prodotto e inversamente proporzionale al quadrato della loro distanza. Per quasi due secoli, l’applicazione di questa legge fondamentale aveva consentito agli astronomi di predire, ricercare e scoprire molti oggetti del cielo e i loro moti. A metà ‘800, il concetto di campo, nato dagli studi di elettricità e magnetismo, si affiancò a quello di forza. In modo semplice si può dire che un campo elettrico è una zona di spazio in cui si manifestano effetti  dovuti alla presenza di cariche elettriche. L’idea geniale di Einstein fu di introdurre, in modo analogo, il concetto di campo gravitazionale: è questo l’ente fisico nel quale si muovono i corpi nell’universo. Se le cariche elettriche sono le sorgenti del campo elettrico, similmente (lui pensò) saranno le masse dell’universo ad essere le sorgenti del campo gravitazionale. Tuttavia, questa visione derivante dalla similitudine non era banale: apriva prospettive nuove e rappresentava un vero e proprio salto concettuale, una differente visione  dell’universo rispetto all’idea newtoniana.

 

Così l’orbita di un pianeta intorno al Sole non è più qualcosa di statico, di assoluto, da determinare con un “tiro alla fune a due” secondo la formula della forza di Newton, ma una proprietà dello spazio stesso. E’ famoso l’esempio del foglio elastico di gomma su cui poggiamo delle palline di diversa massa: prima, il foglio è ben teso, dopo l’aggiunta delle palline si verifica un incurvamento e una deformazione dello spazio prodotto dalla presenza delle masse. Provate.

L’interpretazione delle orbite planetarie riceve dunque una diversa spiegazione: la presenza di massa (il Sole) fa muovere i corpi circostanti (pianeti), poiché deforma lo spazio adiacente e li costringe a seguire determinate orbite curvilinee, come se si muovessero al bordo della superficie di un imbuto. Il campo è un’entità fisica reale che si flette, ondeggia, si torce, si incurva. Einstein  dice che siamo immersi un gigantesco mollusco flessibile!

     
        

                       La deflessione della luce stellare                                    

 

Se le intuizioni fisiche del nostro furono una delle tante manifestazioni del suo genio, il problema matematico di darvi espressione formale era complesso, com’è complessa l’analisi matematica delle superfici curve. Fortunatamente, da metà ‘800 ai primi del ‘900 questo tipo di matematica si era andata sviluppando e alla sua elaborazione contribuirono in tanti: infine, furono i grandi matematici italiani a fornire ad Einstein il supporto per la sua nuova teoria della gravità. In particolare il grande matematico di Lugo di Ravenna  Gregorio Ricci-Curbastro aveva elaborato un nuovo tipo di calcolo differenziale (chiamato “assoluto”), che fu portato a conoscenza di Einstein dal suo amico di università Marcel Grossmann,  permettendogli di completare l’opera formale delle equazioni del campo gravitazionale di cui abbiamo detto all’inizio.

 

Queste complicate equazioni hanno anche un senso estetico straordinario: nella parte sinistra sono posti tutti i termini che riguardano la Geometria (lo Spazio), mentre nella parte destra, dopo il segno di uguaglianza, è posto il termine associato alla Materia-Energia. Dunque, viene posta una corrispondenza precisa tra Spazio e Materia. Nel dopoguerra, J.A.Wheeler, il fisico che ha coniato il termine “black hole”(buco nero) ha così meravigliosamente sintetizzato quello che la formula di Einstein vuol dire: nell’universo, la materia “dice” allo spazio come curvarsi e lo spazio “dice” alla materia come muoversi!

Provate a pensare quanto diverso sia questo modo di vedere le cose rispetto a quello che pensiamo di solito. Siamo infatti abituati a pensare allo spazio come ad un contenitore e alla materia come qualcosa di distinto che può essere o no inserita in questo contenitore: una stanza non è detto che abbia dentro, per dire, una sfera di acciaio che si muove. Contenitore e contenuto non sono di norma  posti in relazione. Einstein ci ha insegnato che nell’universo le cose non stanno così: spazio, tempo, gravitazione, accelerazioni delle masse sono lì  su un  unico palcoscenico per darci la giusta  rappresentazione dell’universo come un tutto.

Sono cento anni che la teoria della Relatività Generale è sottoposta alle prove sperimentali più diverse: abbiamo imparato a calcolare come la luce di una stella si fletta passando vicino al Sole, come le orbite planetarie non siano fisse ma cambino leggermente nel tempo, come le eclissi totali di Sole mostrino l’entità del  suo campo gravitazionale, come funziona il nostro GPS, e tanto altro. Tutte cose che hanno bisogno della relatività generale. E’ una teoria che ha prodotto una rivoluzione nella storia della relazione spazio-tempo-materia, influenzando filosofia, arte, politica, cultura popolare. Grande Albert: ti siamo grati per avere spinto così tanto in avanti il fronte della conoscenza!


 
 
Pubblicato su Stampa Reggiana, 2016. Copyright

 

 

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