lunedì 5 dicembre 2016

STEPHEN HAWKING

Blog  PASSIONE UNIVERSO di Ivan Spelti



                       STEPHEN  HAWKING

         La volontà di vivere e di conoscere

 

Tra gli scienziati odierni, uno in particolare  continua ad essere al centro dell’attenzione:  l’astrofisico e cosmologo inglese Stephen Hawking.

Il film di James Marsh (2014) La teoria del tutto ne  ha recentemente riproposto la figura e l’opera, raccontando una vita scientifica estremamente ricca e prolifica, che oggi cercherò di narrarvi senza entrare troppo nella specificità dei suoi straordinari studi.

Lo scienziato ha supervisionato e approvato il film, anche per la parte sentimentale e relativa alla  sua disabilità:  un grande viaggio tra gioventù, amore, carriera, passione per la scienza, sfide, vittorie e sconfitte, che ha presentato al grande pubblico un uomo di genio, in continua lotta con i suoi problemi di varia natura e i risultati intellettuali da raggiungere.


                                                                                            Stephen, Jane e i tre figli

A soli 21 anni gli viene diagnosticata la SLA (sclerosi laterale amiotrofica), una malattia neurodegenerativa che secondo i medici lo avrebbe portato alla morte entro due anni: fortunatamente la diagnosi errata fu più tardi sostituita da quella di “atrofia muscolare progressiva”, una patologia che lo ha tuttavia costretto a vivere sempre su una sedia a rotelle, in attesa di una paralisi integrale del corpo a lento decorso. Oggi Stephen ha 74 anni ed è probabilmente il più conosciuto scienziato vivente, grazie ai suoi libri specifici e didattici, alla frequente partecipazione a congressi di ogni tipo, alle sue polemiche, ma soprattutto alle sue idee scientifiche di punta in campo astrofisico accompagnate dalle riflessioni sul nostro futuro.
 

Solo due esempi: “ci salveremo come umanità solo se lasceremo la Terra” e ”entro un secolo i computer supereranno gli esseri umani grazie all’intelligenza artificiale e dovremo esser certi che i loro obiettivi coincidano con i nostri”. Nel primo caso, il riferimento è quello di incoraggiare i viaggi spaziali e nel secondo è un richiamo metodologico al controllo costante dell’evoluzione informatica della nostra civiltà.

Più volte in odore di premio Nobel, probabilmente rinviato a causa dei suoi studi eminentemente teorici, consiglia da sempre a chi è colpito da disabilità di concentrarsi sulle cose che si amano senza lamentarsi delle interferenze negative che queste comportano. Rivolgendosi ai disabili dice “non siate disabili nello spirito così come lo siete nel corpo”.

Hawking nasce nel 1942 a Oxford. A scuola non è particolarmente brillante, anzi si mostra pigro e sfaticato. Ha pochi amici, con i quali discute di tutto:  fisica, religione, parapsicologia, modellismo. Tuttavia ha una mente particolare che lo porta ad interessarsi di cose grandi e complesse, una delle quali è l’origine dell’universo.

 

                                                                              Il matrimonio con Jane (1965)

Durante l’università i problemi fisici emersi intorno ai 13 anni si accentuano:  si laurea tuttavia in Fisica a 20 anni, a pieni voti, e viene accettato in facoltà perché continui gli studi di relatività, sull’universo e i buchi neri. Nel 1965 sposa Jane, che per 25 anni sarà moglie e infermiera, dandogli 3 figli. Vive a Cambridge, tra le difficoltà, una vita ricchissima di studi, emozioni, sorprese. Dal 1965 al 1970 elabora un modello matematico che dimostra l’evoluzione dell’universo mediante il Big Bang e compie studi fondamentali sui buchi neri. Nel 1979 è nominato alla cattedra lucasiana di matematica già occupata da Newton. Nel frattempo, resta completamente immobilizzato:  inizialmente continua ad insegnare a pochi fedeli studenti, ma in seguito perde anche la voce ed è costretto a comunicare mediante un sintetizzatore vocale e un sofisticato computer preparato dagli stessi studenti: lo fa con grande lentezza senza poter digitare più di 15 parole al minuto. Doloroso, nel 1990, il divorzio da Jane.             

Le sue ricerche continuano ad interessare i buchi neri e la singolarità inziale spazio-temporale  del Big Bang, da adattarsi ad ogni modello cosmologico in espansione.





 

Visionario, gran divulgatore, brillante e prolifico scienziato, Hawking è un’icona della scienza moderna, con una vita intensa costellata di curiosità e aneddoti.

 
    

                                                                                                Con papa  Francesco                                                           
 
 
 
 
                                                                                                          con Obama

Lo scienziato britannico ha collezionato un’infinità di premi e onorificenze; è membro Royal Society, ed è persino inserito nella esclusiva  Pontificia Accademia delle Scienze (1986), nonostante il suo tipo di ateismo sia continua fonte di dibattito.

La straordinaria voglia di vivere, comunicare ed inseguire risultati, esempio per tutti noi, lo porta a collaborare con i Pink Floyd registrando in comune un disco, a sperimentare la gravità zero entro un simulatore, ad immaginare di giocare a carte con Einstein e Newton in un noto programma televisivo britannico.



 

Due parole sugli studi. Nel 1971 dimostra il primo dei teoremi sull’esistenza delle singolarità gravitazionali nello spazio-tempo: queste singolarità sono caratteristiche generali della relatività generale, nei buchi neri e nel Big Bang. In seguito, con altri, elabora il famoso teorema noto ai fisici in termine canzonatorio come “i buchi neri non hanno peli”, per dire che essi sono caratterizzati solo da 3 parametri fondamentali (massa, carica elettrica, momento angolare) e non da altre grandezze irrilevanti (peli). Nel 1974 si occupa di termodinamica ed entropia (grado di disordine) dei buchi neri: queste grandezze fanno si che essi emettano radiazione e particelle (radiazione di Hawking), alla fine “evaporando lentamente” nel tempo. Seguono intensi studi di meccanica quantistica collegati e di “informazione” estraibile dalla struttura dei buchi neri. Sebbene l’11 febbraio 2016 il mondo abbia avuto la prova diretta dell’esistenza dei buchi neri mediante la rivelazione delle onde gravitazionali (vd. articolo precedente su questa pagina della scienza), le teorizzazioni di Hawking sono un continuo campo di studio ancora attuale. In campo cosmologico generale, i suoi contributi riguardano lo sviluppo del modello standard del Big Bang caldo, fino a pensare che quest’ultimo sia in realtà un buco nero al contrario (buco bianco) da cui si origina l’energia-materia.

 


 
 

Al di là dei complessi studi che lo hanno sempre visto in prima linea e che meriterebbero ben più ampio spazio, voglio chiudere con una sua citazione che rappresenta un invito per noi tutti.

Per quanto difficile possa essere la vita, c’è sempre qualcosa che è possibile fare. Guardate le stelle invece dei vostri piedi.

 

 

venerdì 2 dicembre 2016

E SE IL TEMPO NON ESISTESSE?

 
Blog  PASSIONE  UNIVERSO di Ivan Spelti




E SE IL TEMPO NON ESISTESSE ?
Ivan Spelti


No, non sono impazzito. Ricordo quello che ho fatto ieri, so quello che faccio oggi, non so molto di quello che farò domani. Sono in grado di fare distinzione tra passato, presente e futuro. E poi c’è il tempo della musica! Dunque il tempo esiste senz’altro, dal momento che riesco a discriminare gli eventi. In Fisica, se mi chiedo cos’è il tempo di solito posso dire che è la dimensione nella quale si concepisce e si misura il trascorrere degli eventi che accadono. Allora, perché il titolo di questo articolo, perché sottilizzare, farsi domande su una questione così chiara?
 
 

Il fatto è che, nei secoli, le cose non sono state così evidenti come vi sembrano ora, gli interrogativi non sono mancati e continuano tuttora. Vale la pena di parlarne, anche perchè, da qualche decennio, alcuni fisici sono saltati fuori mettendo in discussione l’esistenza stessa del tempo:  vedremo di cosa di tratta. Prima ancora, già Einstein pensava che la separazione tra passato, presente e futuro avesse soltanto il significato di un’illusione, per quanto tenace. Queste idee sono soltanto dovute alla modernità? No.

Come sono andate le cose nei secoli? Cosa dicevano i pensatori del passato?

Parmenide (VI-V a.C.) diceva che il tempo è un’illusione travestita da realtà e che è tra quelle cose che appaiono diverse da quelle che sono.
 

Per Platone (IV a.C.), il tempo è in relazione alle stelle. Per Aristotele (IV a.C.), il tempo è il numero del movimento, secondo il “prima” e il “poi”. Per Lucrezio (I a.C.), il tempo non sussiste come entità: sono le cose che creano il senso di quello che succede negli anni. Per Plotino ( III d.C.), il tempo è il movimento con cui l’anima passa da uno stato all’altro. Per Sant’Agostino (IV d.C.) “se non me lo chiedi so cos’è, ma se me lo chiedi non so spiegarlo”: è un concetto fallace che sfugge dalle mani dell’uomo.

Per Eraclito (V a.C.), l’aforisma è PANTA REI “tutto scorre”: l’uomo non potrà mai fare la stessa esperienza due volte, poiché ogni ente è soggetto alla legge del mutamento.

Per venire più vicino ai nostri tempi, Kant (‘700) dice che spazio e tempo sono due forme “apriori” della conoscenza: lo spazio ordina  fatti e fenomeni esterni, mentre il tempo è la forma fondamentale della nostra esperienza interiore: l’esperienza esterna viene interiorizzata dalla memoria. Ha un’accezione soggettiva, interna alla mente umana, è la condizione apriori di ogni fenomeno. La realtà dell’uomo che vuole conoscere diviene “fenomeno”. Per Leibnitz (1646-1716), il tempo è una relazione di successione tra il prima e il dopo, mentre lo spazio è una relazione di coesistenza o posizione (alto, basso, destra, sinistra). Per Bergson (1859-1941), c’è un tempo vissuto ed uno interiore:  il tempo della scienza, misurato, è distinto dal tempo “vissuto” dalla nostra coscienza.

Si tratta di esempi che mettono in luce come il tempo venga associato via via al mutamento, al divenire, al movimento, all’individualità della percezione. Altro esempio.

La percezione del tempo è diversa per adulti e bambini: è diverso il loro tempo “psicologico”. Per i bambini, il tempo avanza lentamente:  il loro tempo è quello degli “avvenimenti”. Per gli adulti, il tempo scorre più in fretta ed è regolato dagli orologi che controllano gli eventi.
 

Per finire questa carrellata, chiediamoci che relazione esiste tra il tempo e l’universo. I cambiamenti nell’universo sono caratterizzati da un ordine numerico: ogni cambiamento (n) è seguito da (n+1), (n+2)… successivi.  Se misuriamo il tempo con gli orologi avremo una sequenza di cambiamenti. Qualcuno dice che l’universo non si modifica nel tempo: è il tempo a scorrere nell’universo come ordine numerico del suo cambiamento. Riduco una grandezza fisica all’aritmetica.

Ho lasciato fuori finora Newton (1643-1727), da cui ha inizio la moderna scienza, per recuperarlo entro 5 tappe principali che ci porteranno fino ai nostri giorni.


La prima tappa è la sua, la seconda quella dell’Einstein della Relatività Ristretta, la terza quella dell’Einstein della Relatività Generale, la quarta quella della Fisica Quantistica e la quinta quella della Gravità Quantistica, con le idee di Smolin, Rovelli, Barbour, e altri, sulla non esistenza del tempo come grandezza  a livello fondamentale. Percorriamo dunque velocemente queste 5 tappe.

Newton erige un vero e proprio monumento al concetto sia di spazio che di tempo. Per lui sono due contenitori eterni e incorruttibili entro i quali si svolgono le vicende dell’universo, con somma indifferenza tra loro. Esempio. Ho una stanza (spazio) e posso avere o non avere materia dentro. Il tempo passa anche se non succede niente, se gli eventuali oggetti  ci sono o no, sono fermi o si muovono. E’ un tempo “universale”. C’è un orologio, caricato da Dio, che batte nell’universo: è uguale per noi tutti, sia che siamo qui oppure su un’altra galassia lontana. Tutti misuriamo lo stesso tempo, con lo stesso orologio “cosmico”. Il tempo è indipendente da quale e quanta materia c’è nell’universo.

Poi arriva Einstein, che nel 1905 ci dice che esiste una velocità limite (quella della luce) e che passato, presente e futuro sono concetti relativi. Non esiste la “simultaneità” cosmica degli eventi: distanze e tempi sono relativi ad ogni osservatore. Il tempo non è indipendente dallo spazio, ma esiste una rete quadridimensionale interconnessa dello spazio-tempo dove si svolgono gli eventi. Il mondo è quadridimensionale ( 3 coordinate dello spazio+1 coordinata di tempo).

La conseguenza è che c’è sempre qualcosa che non è ne passato ne futuro, se vogliamo raro da percepire, ma dipendente dalla distanza: un tempo “intermedio”. Per esempio, tra due persone in una stanza è un miliardesimo di secondo, per l’amico al quale telefono in America è un millesimo di secondo, ma per l’astronauta su Marte col quale voglio comunicare è pari a 15 minuti. Questi tempi “intermedi” non sono ne passato ne futuro. In realtà, nell’universo, non si potrà mai dire “in questo momento”! E’ la velocità  limitata dei segnali (anche della luce) che me lo dice.

Dieci anni dopo, sempre Einstein se ne esce  con una formula dicendo che l’idea di Newton deve essere superata: lo spazio-tempo dell’universo è una rete “distorta” dalla materia-energia presente. La struttura  spazio-temporale dell’universo somiglia a quella di un mollusco flessibile.

Quarta tappa. Nasce la Fisica quantistica, che si sviluppa dagli anni 20 del ‘900 ad oggi. A scala ultramicroscopica, lo spazio-tempo non è più la rete continua e fluttuante di Einstein, ma il regno del “discontinuo”. Le particelle elementari vi obbediscono. Se tentiamo di mettere dentro la gravità in questi problemi salta fuori una “schiuma” microscopica, che è quella dello spazio-tempo quantistico. E’ come se guardassimo il mare da diverse altezze: dall’aereo lo vedo piatto e liscio, se lo sorvolo vedo le onde e la schiuma che fanno. Passo da una visione del “continuo” ad una del “discontinuo”. Ma la realtà fisica non è cambiata: è solo diventata il regno della Gravità Quantistica.

Ecco dunque riproporsi le domande. Il tempo scorre davvero come un fiume? Siamo davvero su un battello che naviga tra passato, presente e futuro?  Il tempo è o non è un perfetto impasto di fisica e filosofia? Tutte le argomentazioni succedutesi nei secoli sono consistenti, e soprattutto hanno forma definitiva?

Da queste domande nascono le nuove idee dei nostri anni, in particolare dalla incomunicabilità tra Relatività e Quantistica come branche in apparenza opposte della Fisica: una che riguarda l’infinitamente grande e l’altra l’infinitamente piccolo.

Mondi ancor oggi separati. Se si tenta di unificarli, si ottengono equazioni dove il tempo, come coordinata fisica, scompare. Conta solo come le cose si muovono una rispetto all’altra: sembra di essere tornati al tempo di Aristotele!

Alcuni degli scienziati moderni che ho citato sostengono che, a livello fondamentale, esistano solo “atomi di spazio”, grani infinitesimali. L’universo sarebbe la storia raccontata da come si dispongono tra loro questi atomi di spazio. Il tempo non esiste a scala microscopica, ma è solo una proprietà emergente della materia-energia. Come quando bevo un bicchiere d’acqua: non mi interessa la singola molecola, ma tutto il liquido che chiamo acqua. Non mi interessa quanti milioni di molecole hanno certi valori di temperatura, pressione, volume, ma solo che le relazioni reciproche tra le molecole facciano si che l’acqua resti il liquido da bere. Questo è il fatto reale, anche se la singola molecola fosse un’illusione.

Forse il tempo “non scorre”, ma “è”, e tutti gli eventi possibili sono già presenti nel cosmo. Solo la nostra percezione attribuisce una direzione al tempo ed abbiamo l’impressione del “trascorrere del tempo”. Gli eventi passati non svaniscono per sempre, ma esistono in diverse zone dello spazio-tempo. Le esperienze di ieri, di 10 anni fa, sono tutte reali e conservate in queste diverse zone, archiviate. Il nostro passaggio nello spazio-tempo non è che una semplice successione di fotogrammi. Idee intriganti.
 

La Fisica ha chiarito molte cose, anche sul tempo, ma ha anche risollevato nuove domande, com’è suo compito. Il concetto di tempo, che inizialmente abbiamo ritenuto dipendente dalle cose che accadono, si è mescolato con lo spazio, è soggetto alle fluttuazioni quantistiche. Non ha più nulla a che vedere con la nostra primitiva intuizione. Può rischiare di diventare un concetto inutile perché ci distrae dal livello fondamentale. Ci basta avere una buona teoria che descriva come si muovono le cose l’una rispetto all’altra. Se la troveremo!

Significa forse che nel nostro “quotidiano” non  si deve parlare del tempo? No. Vuol dire solo che il tempo come grandezza non serve più quando studiamo le strutture generali del mondo, dell’universo grande e piccolissimo. A livello fondamentale non ci sono pere nella Fisica, ma non per questo spariscono le pere che abbiamo davanti sul vassoio, ne la percezione che possiamo afferrarne una in quelli che per noi sono 2 secondi. Ma questo è un problema di alimentazione, non di Fisica!
 
 
pubblicato in Prima Pagina Reggio, 2016. Copyright

 

 

PIANETA NOVE?

 
Blog  PASSIONE UNIVERSO di Ivan Spelti





                   SCOPERTE IN CORSO

                    IL NONO PIANETA
Ivan Spelti

 

Il 21 gennaio 2016 la notizia è rimbalzata diverse volte sul web. Scoperto il nono pianeta del sistema solare, ai suoi confini. Battezzato provvisoriamente “Planet Nine”, ossia pianeta nove (P9), in attesa delle necessarie conferme e certificazioni.

Com’è successo? Due ricercatori del Caltech (Californian Institute of Technology di Pasadena in California), K.Batygin e M.Brown, hanno firmato lo studio su una delle principali e serie riviste di settore (Astronomical Journal), in cui assicurano di avere trovato le prove dell’esistenza del nono pianeta. Vero? L’uso del condizionale è d’obbligo, fino a che l’eventuale scoperta non sarà confermata e ci vorrà diverso tempo. Comprensibile che i media si siano buttati sulla notizia, che ancor oggi tiene la scena: un altro mondo extraterrestre, tutto sommato a due passi da casa, anche se il pianeta dovrebbe trovarsi 20 volte più lontano della distanza di Nettuno dal Sole ed essere del tipo “extralarge”, di tipo gassoso come Giove, Urano e Nettuno, con una massa 10 volte quella della Terra. In pratica, si tratterebbe di un pianeta a mezza strada tra il nostro e Nettuno. La presunta scoperta proviene però da simulazioni al computer ed in questo senso non è stato scoperto  fisicamente, mediante osservazioni, alcun pianeta.

Facciamo prima un po’ di storia. I nostri antenati conoscevano 5 pianeti, che a loro apparivano come “stelle erranti” nel cielo, nel senso che erano oggetti celesti che comparivano e si muovevano diversamente lungo la fascia percorsa dal Sole e dalla Luna, al contrario delle stelle “ fisse” che sembravano come incastonate nella sfera celeste. Si trattava di Mercurio, Venere, Marte, Giove, Saturno: la Terra, come luogo delle loro osservazioni, non entrava nel conto dal momento che per millenni fu considerata il centro del mondo; fino alla rivoluzione copernicana del 1500, quando iniziò la visione moderna del cosmo con il Sole al centro del sistema solare.
 

 

           

        
 



                                                                                                  il mondo secondo Copernico (1543)

In seguito, nel  1781, William Herchel scopre Urano, nel 1830  J.G. Galle,  Nettuno ed è del  1930 la scoperta di Plutone da parte del giovane Clyde Tombaugh. Plutone mostrava un’orbita intorno al Sole fortemente ellittica e si trovava alla distanza di 4-7 miliardi di km. L’Unione astronomica internazionale ha lasciato così le così fino al 2006, quando ha declassato Plutone dallo stato di pianeta, in base ad una serie di riconsiderazioni e definizione dei corpi celesti, e lo ha ridotto allo stato di “pianeta nano”.

Sono così rimasti 8 pianeti  in tutto, inclusa la Terra, essendo il terzo pianeta in ordine di distanza dal Sole.

 

     

                                                                           Il quadro dei pianeti, quando anche Plutone era conteggiato come tale

 


                                                                                                                    La scala delle distanze dei pianeti

Nessun telescopio ha ancora individuato Planet Nine. E allora, come facciamo a dire che è stato “scoperto” un altro pianeta?  Il punto è che oggi l’astronomia si fa sempre più con i computer e con la modellistica che essi ci propongono. Così i due ricercatori hanno suggerito l’esistenza di un pianeta da una serie di anomalie orbitali di oggetti della fascia di Kuiper, di cui parleremo tra poco.

Essendo la sua ipotetica distanza media dal Sole di 200 U.A (unità astronomiche: una unità astronomica è la distanza media Terra-Sole, 150 milioni di km) Planet Nine si troverebbe proprio dentro la fascia di Kuiper, una seconda fascia di asteroidi o pianetini che si estende oltre l’orbita di Nettuno fino a 50 UA dal Sole e costituita non più di corpi prevalentemente rocciosi, ma composti di metano, ammoniaca, ghiaccio: 20 volte più estesa e 200 volte più massiccia della fascia principale degli asteroidi posta tra Marte e Giove. Di questi corpi celesti, in zona Kuiper, ce ne sarebbero milioni.

In sostanza, se vedo che un asteroide non segue l’orbita obbligata applicando la legge di gravitazione universale, cerco di capire il perché: forse c’è un qualche altro corpo vicino che ne disturba il movimento, poiché lo influenza gravitazionalmente. Gira che ti gira, per i ricercatori i conti sono iniziati a tornare solo dopo avere ipotizzato quel nono pianeta, con quella massa e a quella distanza: solo così i computer erano contenti, dopo che avevano provato tutte le strade e tutti i modelli. In definitiva, il pianeta è stato scoperto (se lo è stato) con simulazioni matematiche e considerazioni statistiche. Carta d’identità presunta: massiccio, ghiacciato, con uno strato gassoso esterno. Ma attenzione! E’ una previsione del tutto teorica, anche se lo studio e le conclusioni sono intriganti!

Una delle ipotesi più accreditate è quella che P9 sia stato “lanciato” ai margini del sistema solare dall’influenza gravitazionale  combinata di Urano e Nettuno nei primi 3 milioni di anni dalla nascita del sistema solare.

Adesso la palla passa ai grandi telescopi terrestri, che si devono incaricare di rintracciarlo e confermarne la scoperta: il  telescopio gigante delle Hawai, di 10 metri di specchio, si metterà all’opera con un apposito programma di ricerca nei prossimi mesi.

In figura si nota la grande orbita che il pianeta dovrebbe percorrere intorno al Sole: il suo anno sarebbe pari a 15.000 anni terrestri.

 

 

                                                          L’oggetto Sedna è a 146 miliardi di Km dal Sole ed è il capostipite di questi oggetti ghiacciati

Vi ho risparmiato le valide ragioni dei due ricercatori che hanno portato alla teorizzazione dell’esistenza del pianeta, basate sull’analisi dell’ordinamento delle orbite di questi oggetti Kuiper, come vi risparmierò l’analisi sulla corretta metodologia scientifica da applicarsi ad ogni annuncio di scoperta (controlli incrociati, ricalcoli indipendenti,…). Non resta che attendere il giorno in cui verrà scoperto il lentissimo moto di un oggetto di questo tipo sullo sfondo delle stelle, a conferma della scoperta.

 


                                                    confronti dimensionali: Planet Nine sarebbe un pianeta intermedio tra la Terra e Nettuno

Plutone si muove a 4 Km/s alla distanza tra 4,5 e 7  miliardi di Km dal Sole con un periodo di 248 anni ed era considerato fin dall’inizio della sua scoperta un tipico pianeta transnettuniano. Ora ci troviamo con questa nuova scoperta in attesa di conferma.

Curioso come uno dei due ricercatori, Brown, su Twitter si firmi “plutokiller”. La ragione è che, avendo il vizio di andare alla ricerca di pianeti nani lontani, come Eris (appena più massiccio di Plutone, che è invece appena più grande), ha contribuito a far perdere a Plutone  la corona di pianeta e a farlo declassare.

 

 

                                                                                             caratteristiche dei pianeti del sistema solare

 

ONDE GRAVITAZIONALI


Blog  PASSIONE UNIVERSO di Ivan Spelti

 

           scoperte 100 anni dopo la previsione di Einstein  

            LE ONDE GRAVITAZIONALI

L’universo è il luogo dove, per eccellenza, gli eventi catastrofici ci danno le informazioni più importanti. Siamo abituati alla relativa tranquillità dei moti planetari, alle  osservazioni del cielo che fanno battere il cuore degli innamorati, al calore del Sole che ci scalda. In realtà, sappiamo che le stelle possono esplodere, le galassie si muovono velocemente a centinaia di migliaia di km/h e tendono a raggrupparsi su distanze di miliardi di km, che tutto è in evoluzione perché l’aspetto odierno dell’universo è diversissimo da quello di miliardi di anni fa.

Non ci siamo quindi stupiti più di tanto quando abbiamo scoperto che due buchi neri, rispettivamente 29 e 36 volte più massicci del Sole, 1,3 miliardi di anni fa, hanno iniziato a danzare tra loro e spiralizzando sono poi entrati in collisione alla fantastica velocità di 150.000 Km/s (la metà della velocità della luce) “fondendosi” in un’unica entità quasi somma delle loro masse (62, anziché 65) e rilasciando energia sottoforma di onde gravitazionali pari alla conversione di 3 masse solari, in circa 100 secondi.

 

Tutti conoscete, cari lettori, l’equazione E = m.c^2 e quindi sapete che la massa si trasforma in energia: 3 Soli che si convertono in energia sono una cosa spaventosa ed è ciò che ha prodotto le onde gravitazionali del sistema binario di buchi neri.

Queste onde gravitazionali sono state rivelate il 14 settembre 2015 come prima conclusione di una lunga fase di ricerca che ha interessato principalmente due osservatori, uno americano ed uno europeo (collaborazione italo-francese). L’11 febbraio 2016 l’annuncio in contemporanea dei responsabili scientifici dei due gruppi di ricerca: qualche mese è servito per avere la certezza che non c’erano stati errori di interpretazione.

L’universo ci “ha parlato” attraverso una infinitesima increspatura dello spazio-tempo, rivelata con strumentazioni ad altissima tecnologia (interferometri laser con bracci utili di 3 km, nei quali la luce viene fatta passare in condizioni di “ultra alto vuoto”).


 

Abbiamo raccolto un segnale che diventava sempre più ampio, simile ad un acuto sibilo, a mano a mano che la reciproca cannibalizzazione dei buchi neri procedeva verso la loro fusione.

 



Le onde gravitazionali sono la conferma della previsione di Einstein di 100 anni fa (1916), contenuta nelle sue equazioni del campo gravitazionale. Possiamo dire, a tal proposito, che le celebrazioni dello scorso anno  del centenario della Relatività Generale continuano.

Einstein aveva predetto che quando una qualsiasi massa nell’universo (una stella, un pianeta, un sasso, un buco nero) viene accelerata, emette onde gravitazionali: la sfida era cercare di rivelare i deboli e complessi segnali emessi, poiché l’oscillazione dello spazio-tempo riguardava tutto e tutti, anche gli strumenti rivelatori che ne erano investiti.

Le complicate equazioni di Einstein ponevano in diretta corrispondenza biunivoca lo spazio-tempo (la sua geometria, come si dice) con la materia. Famosa la sintesi di Wheeler (il fisico che ha coniato il termine buco nero): << la materia “dice” allo spazio come curvarsi e lo spazio “dice” alla materia come muoversi>>.

La gravità non è più solo la forza attrattiva che ci ha insegnato Newton a metà del ‘600, ma per Einstein è  in definitiva una geometria: spazio e tempo non sono un palcoscenico immobile, statico e assoluto, ma sono come un telo plastico deformabile sotto l’effetto delle masse presenti nell’universo. Un po’ come quando un ippopotamo si siede su un letto robusto e deforma il materasso. O, se preferite un’altra similitudine, come le  biglie colorate dei bambini disposte su un piatto pieno di panna cotta: anche qui avremo piccole deformazioni (concavità) prodotte dalle masserelle delle biglie sulla superficie della panna cotta.

Quando un’onda gravitazionale parte da una sorgente che l’ha prodotta e giunge ad un osservatore (noi), lo spazio-tempo interposto viene deformato, si allunga o si accorcia ritmicamente come un’onda che oscilla: l’intensità dell’effetto diminuisce all’aumentare della loro distanza.

Un punto vista e una conclusione scardinante rispetto al nostro abituale modo pensare, per il quale supponiamo che esista sempre uno spazio (esempio, una stanza) nel quale possa esserci o meno della materia dentro. Da 100 anni sappiamo che contenitore e contenuto formano un’unica realtà ed il palcoscenico dell’universo come un tutto ha come attori spazio, tempo, gravitazione, accelerazione dei corpi (vale a dire, movimenti con velocità variabile). Numerose prove sperimentali hanno confermato la correttezza di questa visione dell’universo (deviazione della luce delle stelle vicino al Sole, precessione delle orbite dei pianeti, lo stesso GPS delle nostre automobili per venire a cose più vicine a noi). Il lettore di questa rubrica ricorderà che in altre occasioni ho parlato di questo cambiamento di prospettiva scientifica (articolo sul Big Bang).

Le masse dell’universo sono le “cariche del campo gravitazionale”: deformano lo spazio-tempo e deviano la luce, ovvero le onde elettromagnetiche. Questo lo sappiamo già da tempo, come sappiamo che tali masse devono essere particolarmente elevate per dar luogo ad eventi significativi rilevabili. In teoria anche due ballerini potrebbero creare increspature nello spazio-tempo, ma l’intensità del fenomeno sarebbe del tutto non rilevabile essendo miliardi di miliardi di miliardi di volte sotto la soglia delle nostre capacità identificative. La gravità, seppur  forza dominante nell’universo, è quantitativamente molto debole: è per questo che occorrono oggetti celesti molto massicci e se possibile relativamente vicini per determinare valori intensi delle onde gravitazionali.

L’evento catastrofico rivelato, verificatosi a distanza lontanissima, ha liberato un’energia spaventosa e la produzione di onde, seppur indebolite, ci sono giunte come marchio indelebile dell’evento, conservandone la memoria, viaggiando alla velocità della luce, pochissimo disturbate dalla materia incontrata durante il viaggio.

E’ stato il trionfo di un gruppo di ricercatori internazionali ostinati. I fisici sono in estasi. Seguirà il Nobel (quasi certamente, americano). Gli scienziati hanno fortemente creduto nella predittività della Relatività Generale di Einstein, ed impostato e realizzato gli esperimenti adatti. Per gli scettici (se ne trovano sempre) dirò che la probabilità di essere certi della scoperta avvenuta è del 99,999%, identica a quella che ha condotto alla scoperta del bosone di Higgs al CERN di Ginevra pochi anni fa.

Vogliamo parlare di precisione richiesta nelle misure di identificazione? E’ richiesta una precisione delle misure interferometriche di (10 ^ - 23), ossia zero virgola, ventidue zeri e poi 1. Come dire la capacità sperimentale di vedere accorciarsi o allungarsi un bastoncino lungo 1 miliardo di un miliardo di Km  di  +- 5millimetri.

Se volete, provate a pensare anche  che un’onda gravitazionale che attraversi il nostro corpo lo allungherebbe o accorcerebbe di una distanza inferiore al diametro di un protone: 10^-15 metri.

Due parole sulla strumentazione utilizzata e gli scienziati protagonisti (750 del consorzio americano e 250 di quello italo-francese).

L’ interferometro americano LIGO e quello italiano VIRGO sono i primi di una rete globale di rivelatori di onde gravitazionali, che si estende anche al Giappone e all’Australia, costati rispettivamente 620 milioni di dollari e 78 milioni di euro. In realtà, l’osservatorio LIGO è doppio, con strutture gemelle: uno si trova a Handford, nello stato di Washington, e l’altro a Livingston, in Louisiana, distante 3.300 km. Avere un doppio osservatorio è garanzia che gli eventi registrati non vengono alterati da microterremoti o altro.


Nelle figure, vedete il principio di funzionamento e lo schema degli interferometri, con i due bracci ortogonali. Due fasci laser vengono riflessi da specchi che li fanno andare avanti e indietro centinaia di volte allungandone il percorso fino a 300 Km.


 

Quando i fasci tornano ad unirsi, si produce una figura d’interferenza delle onde in arrivo, il che significa che se uno dei due bracci  viene colpito da un’onda gravitazionale, può allungarsi o accorciarsi rispetto all’altro. Questa tecnica consente di rilevare variazioni subatomiche, dell’ordine delle dimensioni di un miliardesimo del diametro di un atomo. 

     

Un ricercatore italiano, Marco Drago, solito “cervello in fuga” ora in Germania (parte del network internazionale), ha messo a punto l’algoritmo di calcolo che valuta i dati raccolti da LIGO e ha rilevato il segnale della durata di pochi millisecondi.                                                  

Cosa cambia? Quali prospettive si aprono per l’astrofisica gravitazionale? Finora l’esplorazione dell’universo è  stata consentita dalle onde elettromagnetiche (la luce raccolta dai telescopi, le onde radio con i radiotelescopi, raggi x e gamma, ecc…) mediante fotoni di diversa frequenza: queste onde ci portano l’informazione dal lontano passato ed interagiscono con la materia  durante il loro cammino.

Come le onde elettromagnetiche sono le vibrazioni del campo elettromagnetico indotte dal moto oscillatorio delle cariche elettriche, l’onda gravitazionale è la vibrazione dello spazio-tempo indotta dall’accelerazione delle masse. Nel nostro caso rivelato si è prodotta un’accelerazione durante la  rotazione a spirale dei due buchi neri. Un paragone ancora per capire meglio?

E’ come se fossimo immersi in un mare a calma piatta fino al collo: sappiamo di avere intorno del liquido, ma è fermo, immobile e non ci porta informazioni. Da una qualche parte uno butta un pietrone in acqua: passa del tempo (magari 1,3 miliardi di anni) e noi sentiamo che l’acqua si alza e si abbassa, non è più ferma. Deve essere successo qualcosa: abbiamo un’informazione, prima inesistente. Pazientemente, potremo cercare di capire  da chi e come ci è stata inviata.

Una volta rotto il ghiaccio, ci aspettiamo nei prossimi anni l’identificazione di altri eventi similari, da sorgenti nell’universo che già stiamo tenendo monitorate. Il fatto più importante, dopo quanto abbiamo detto, è che l’uomo ha acquistato un nuovo senso, che non credeva di possedere: possiamo “sentire” l’universo. Il segnale elettromagnetico può infatti essere convertito in acustico, dal computer. Oggi la NASA fa già queste conversioni per i pianeti, facendone ascoltare “il suono” in base alla loro emissione elettromagnetica.

Il fotone, il quanto del campo elettromagnetico, non è più il solo a portarci le informazioni dell’universo. Inoltre, c’è stato un tempo nelle fasi oscure dell’universo, in cui non c’era luce e quindi nessuna informazione.

Se la scoperta attuale è una conferma dell’esistenza dei buchi neri e la prova diretta della loro esistenza, a lungo teorizzati e previsti nei decenni addietro, lo scenario che si apre interesserà a breve le informazioni sul comportamento delle stelle binarie in procinto di collassare l’una sull’altra, i gigantesche buchi neri di milioni e miliardi di masse solari posti al centro delle galassie, i diversi corpi oscuri di cui oggi ignoriamo l’esistenza, via via a ritroso fino alle onde gravitazionali dell’epoca primordiale, ben più indietro dei 380.000 anni dopo il Big Bang da cui sono partiti  luce e radiazioni.

Da ultimo voglio sottolineare che il ruolo  della Fisica italiana in questo progetto è stato ancora una volta rilevante. L’INFN (Istituto Nazionale di Fisica Nucleare) e le nostre università hanno scritto una pagina di eccellenza in questa ricerca e fornito esempio virtuoso di cosa si intenda per collaborazione internazionale nel campo scientifico: peccato, solo, che all’arrivo del segnale, l’italiano VIRGO fosse fermo per manutenzione e quindi solo i due gemelli americani LIGO  lo abbiano rilevato.

Sia noi italiani che gli americani stiamo investendo per il futuro degli interferometri: come sempre, sarà un problema di soldi, più facile da risolvere per gli americani che come dicevo, avranno il premio Nobel. Infine, nel 2034 sarà operativo “eLISA”, l’evoluzione di questi nostri interferometri odierni: sarà costituito da 3 satelliti artificiali dotati di interferometri, collocati in orbita intorno al Sole e operanti su lunghezze che oggi non possiamo nemmeno pensare sulla Terra ( milioni di km).


 

 

 pubblicato su Stampa Reggiana, 2016. Copyright